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 2025  agosto 27 Mercoledì calendario

Biografia di Daniele Gatti

«Ottocento chilometri. Quasi tutti di un fiato. In macchina: da Bologna, verso Bayreuth, nella Baviera settentrionale. Era fine giugno del 2008. Mi allontanavo da una relazione terminata all’improvviso. Ferito, mi avvicinavo a uno dei momenti centrali della mia vita e della mia carriera: il debutto nel tempio di Richard Wagner».
Daniele Gatti, milanese, 63 anni, maestro che il mondo ci invidia, direttore principale della Staatskapelle Dresden e direttore musicale dall’aprile 2026 del Maggio Musicale Fiorentino, questa estate è stato la star del festival dedicato alla rappresentazione dei drammi del compositore tedesco. Quinto direttore italiano dopo Toscanini, De Sabata, Erede e Sinopoli a essere chiamato sul podio del Festspielhaus, Gatti ha inaugurato l’edizione 2025 della più importante manifestazione wagneriana con una nuova produzione di I maestri cantori di Norimberga, firmata dal regista tedesco Matthias Davids. Precedentemente, solo Giuseppe Sinopoli era stato invitato ad aprire il Festival, fondato da Wagner nel 1876. E dopo aver trionfato alla sua seconda inaugurazione, quest’anno, riavvolge il filo della memoria fino alla sua prima volta, un’estate di 17 anni fa, con Parsifal.
Come andò?
«Consumavo la mia solitudine nel bel mezzo di nulla. Dormivo a una ventina di chilometri dal teatro. Lì il tempo è spesso piovoso. Cercavo di tuffarmi con assoluta intensità nel lavoro. Ma bastava la pausa delle prove, quando si usciva per un caffè, per ripiombare immediatamente in un mondo nero».
Ricordi? Rimpianti?
«Era finita in modo inaspettato una relazione che durava da alcuni anni. La vita ci portò a un addio. Nei mesi precedenti all’arrivo in Baviera, andare a fare concerti mi pesava. E così mi ritrovavo, a 46 anni, ad affrontare un appuntamento impegnativo, rimettendo tutto a zero».
L’incontro con l’orchestra?
«Me la ricordo bene la mia prima discesa nel golfo mistico. Che è un termine inappropriato per qualsiasi altro teatro all’italiana. Dai noi c’è la buca. Il “golfo” è solo lì, a Bayreuth. Nascosto completamente alla vista degli spettatori. Si dirige con la maglietta, perché fa caldo e poi lì sotto non ti vede nessuno. Sembra di essere sulla tolda di una nave. Il direttore è sul gradino più alto, scendendo ci sono i violini, le viole, i violoncelli. In fondo, ancora più in basso, gli strumenti a fiato e le percussioni. Quattro contrabbassi a destra e quattro a sinistra. Una soluzione studiata da Wagner che decise di coprire la visibilità con una calotta, un quarto di cerchio. L’idea era quella di immergere il pubblico nell’esperienza musicale. Quando mi calai la prima volta, quell’estate, mi sentii come il capitano di un sottomarino».
E il palco?
«Il rapporto con il palcoscenico è diverso da qualsiasi altro teatro. Da lì sotto le voci le percepisci flebili perché l’orchestra così disposta deve suonare più forte. E il suono arriva in platea facendo una curva a U, con tempi più lunghi dei nostri. Per me fu una novità assoluta. E dovetti imparare in diretta. A Bayreuth non ti concedono molte prove di assiemi».
Come ha ripreso in mano la situazione?
«Gli assistenti non li vedi, li senti tramite un telefono che si illumina quando devono comunicare con te. Alla prima prova arrivando da esperienze acustiche diverse, fu un continuo: “Non si sente il clarinetto, non si sente il timpano”. Ho dovuto cambiare tutti i miei parametri. Una situazione paradossale, perché hai poco tempo per ripensare tutto».
Poi, però, fu un successo, come lo spettacolo in scena in questi giorni. La magia di Wagner?
«Il Parsifal, allora, mi rimise in carreggiata. Io sono credente. Dietro l’opera, ci sono temi legati alle sacre scritture e questo fu d’aiuto. Per tutto. Quell’estate, sempre a Bayreuth, incontrai la donna che è ancora accanto a me».
Un’estate miracolosa?
«Passavo dall’eccitazione delle prove a momenti in cui mi domandavo dove stessi andando. Ma l’avvicinarsi della prova generale, mi restituiva serenità. Come quando togli il tappo dal lavandino e l’acqua riprende a defluire».
E perché si è sentito alleggerito?
«Poco prima di partire per Bayreuth, in occasione della presentazione della nuova stagione della Orchestre national de France, incontrai a Parigi Camille. Io ero stato nominato direttore musicale. Lei era la responsabile della comunicazione».
E poi?
«Alla prova generale di Parsifal vennero dei dirigenti da Parigi, tra cui Camille. Siamo usciti a cena, abbiamo parlato tra di noi. Una simpatia che ho coltivato. E da allora, con Camille, va avanti una storia lunga 17 anni».
Un lampo?
«Alcune cose rimangono difficili da descrivere. E se le descrivi perdono la magia».
Ha mai riascoltato quella sua interpretazione di Parsifal?
«No, mai. Ma ho le registrazioni. Fanno parte di momenti che hanno segnato la mia vita. Prima di essere un musicista, sei un uomo. Le interpretazioni riflettono una maturazione».
E quest’estate quali altre sorprese porterà?
«Il 31 agosto apro la seconda stagione da direttore principale della Staatskapelle. Poi girerò l’Europa con la Staatskapelle Dresden. L’8 settembre, anche una tappa alla Scala. Il 5 ottobre, alla Semperoper dirigerò una nuova produzione del Falstaff firmata da Michieletto. Poi il 9 ottobre torno sul podio dei Berliner Philharmoniker. Direi bene».
L’ultimo ricordo: come arrivò a Bayreuth?
«Mi scrisse nel 2005 Wolfgang Wagner, nipote del compositore e allora direttore artistico del Festival. Mi chiese la disponibilità per il 2008. Io avevo già diretto L’Olandese Volante e Lohengrin. Ero emozionato, preoccupato. Mi spiegò che mi aveva sentito dirigere a Dresda il repertorio tedesco. Ho pregato. Poi ho cominciato a studiare. Fino al debutto di quell’estate indimenticabile. Grazie a Wagner. E a Camille».