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 2025  agosto 26 Martedì calendario

Biografia di Cirino Pomicino


Il 3 settembre compirà 86 anni. «Ancora una volta sono in ospedale a Torino, se Dio vuole la prossima settimana torno a Roma». Paolo Cirino Pomicino da anni dice di avere «dimestichezza con la morte». Nel senso che l’ha scampata più d’una volta: due trapianti, più due bypass uno a Londra, l’altro a Houston. Più due altri interventi tra cui una colecistectomia. Ma la vitalità è intatta. Oltre a una memoria di ferro. «Non è vero, ultimamente sto perdendo colpi. E mi commuovo anche. Mai pianto per il dolore e la sofferenza, ma per la generosità altrui sì». Ex ministro e presidente della commissione Bilancio, democristiano, con gavetta politica novecentesca. E dunque cominciata nelle istituzioni locali.
Quante estati memorabili ricorda?
«In verità due su tutte. Perché la politica nazionale, una volta, ricominciava in autunno».
Gli autunni caldi.. A noi interessano le estati.
«E allora la prima è quella da specializzando in medicina: estate ’66. Per potermi pagare le vacanze in Costiera accettai di sostituire un collega in un paesino del Napoletano. La mattina andavo in spiaggia, all’una dovevo correre con la mia 500 da una folla di pazienti. Ero talmente stravolto che ogni tanto andavo al bar e giocavo cinque minuti a flipper. Da allora ho deciso che non avrei mai accettato casse mutue».
Tanto poi comunque ha appeso al chiodo lo stetoscopio ed è arrivata la politica. Cosa ricorda dell’estate del ’73?
«Il colera a Napoli. All’epoca ero assessore ai cimiteri».
Le cozze diventarono le untrici, tanto che furono distrutti quasi tutti gli allevamenti nel golfo.
«Una delle tante leggende di quel periodo. Smentita, dopo, dalle analisi. All’epoca il direttore sanitario del Cotugno era Ferruccio De Lorenzo. Ebbene al Cotugno arrivò un viaggiatore che fu ricoverato per una febbre insistente. Così scoprirono il vibrione del colera. Da lì scattò un allarme generale».
La grande paura, fu chiamata.
«E sotto accusa finimmo noi, finì la Dc e il ras doroteo Gava. Io all’epoca balbettavo ancora come politico».
Governavate Napoli. Che era impreparata.
«Intanto se non ci fosse stato il Cotugno sarebbe stato un disastro. I morti in città furono 19, non ventimila. Poi la storia va raccontata fino in fondo. Perché ci fu la prima vera mobilitazione di Napoli. Ognuno, ogni singolo cittadino, di qualsiasi ceto, garantiva la pulizia nel proprio spazio vitale. Anche i bassi erano lavati quotidianamente con i disinfettanti. Quando cominciammo con le vaccinazioni di massa utilizzammo anche il cortile di Palazzo San Giacomo. Per fare prima, io iniettavo, il mio amico consigliere Pino Amato, poi ucciso dalle Br, puliva con l’alcool».
Ma all’inizio ci furono tafferugli.
«Ci fu il tentativo di accaparrarsi i vaccini. Lo fece anche un consigliere comunale. Nelle emergenze e nelle sofferenze si vede chi è uomo e chi un quaquaraquà».
Storica è la foto del presidente Leone che fa le corna, come gesto scaramantico.
«Dimostrando di essere un napoletano doc, vizi e virtù compresi».
Poi arrivarono gli americani a dare una mano.
«Certo, ma nel frattempo i napoletani erano già diventati molto disciplinati. Diciamo che sul colera a Napoli circolavano migliaia di leggende, troppe».
Per esempio?
«Che c’erano morti ovunque. La mia famiglia pensava che io, assessore ai cimiteri, nascondessi anche a loro la drammatica realtà. Oppure che il vibrione era nelle cozze, che la colpa era della miseria, dei bassi. Tutto alimentato dal Pci dell’epoca. Ricordo gli attacchi feroci di Andrea Geremicca, Maurizio Valenzi e Abdon Alinovi».
Valenzi poi diventò sindaco di Napoli nel ’75, il primo sindaco comunista. E lei l’anno successivo entrò in Parlamento.
«Ma dopo il colera, dopo quell’estate drammatica e tumultuosa, Napoli era brulicante di energie. Negli anni ’80 c’è stato il tentativo di tutti di fare qualcosa, in città e a Roma: penso alla metropolitana o al Centro direzionale. Il vero rinascimento nasce allora, non nel ‘94».
Gli anni ’80 sono anche gli anni del debito pubblico.
«I numeri tagliano la testa al toro. Ho ricevuto da Giuliano Amato un bilancio pubblico con disavanzo primario di 38 mila miliardi. E ho restituito un bilancio con un avanzo primario di 3 mila miliardi. Questo perché facemmo una manovra correttiva, che nessuno poi ha fatto più. E soprattutto nessuno lo ammetterà mai».