La Stampa, 26 agosto 2025
Ecco perché gli sminatori italiani fanno la differenza
Quando i cannoni smettono di sputare piombo e le guerre finiscono, lo sminamento è uno dei primi e principali problemi che va affrontato. Gli italiani in questo senso sono considerati un’eccellenza internazionale. Le nostre forze armate vantano ottimi reparti di artificieri. Oltretutto è un tipo di intervento che tutti capiscono e apprezzano, anche i più accesi anti-militaristi. Non è un caso che lo sminamento sia una delle opzioni a cui si pensa quasi in automatico, a livello politico e diplomatico, quando ci si mette attorno a un tavolo e si ipotizza quale possa essere l’apporto dei militari italiani in uno scenario post-bellico. E ora si pensa all’Ucraina del dopoguerra.
Gli sminamenti possibili sono di due tipi: quello in mare e quello in terra. Del primo, alla Marina militare sono dei maestri. Hanno esperienza e mezzi adeguati. In vetroresina per non attivare le mine ad innesco magnetico e con speciali sensori. I nostri sminatori di mare sono richiestissimi. Era l’agosto 1984, per dire, quasi 40 anni fa quando l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi scriveva alle Nazioni Unite per segnalare la disponibilità italiana ad inviare un contingente della Marina nel Mar Rosso su richiesta del governo egiziano: il Canale di Suez era stato riaperto da poco alla navigazione, ma le mine erano un pericolo costante. Sennonché, scriveva Craxi, c’era una vecchia direttiva Onu che precludeva ogni azione militare in quella zona e lo sminamento sarebbe stato impossibile. Gli impedimenti al Palazzo di Vetro furono poi superati e dall’agosto all’ottobre 1984 ci fu l’operazione “Red Sea Demining” a cui parteciparono italiani, francesi, inglesi e statunitensi. Gli italiani inviarono tre piccole navi cacciamine e una nave appoggio. E ancora oggi la Marina è presente in quell’area, nel Golfo di Aqaba, con un piccolo contingente e un pattugliatore per verificare la libertà e la sicurezza di navigazione nell’ambito della missione Onu “Mfo” che sovrintende ai patti di pace tra Egitto e Israele del 1982. Adesso si dovrebbe affrontare lo sminamento del Mar Nero, dove le rotte commerciali sono quasi tutte a rischio e s’è visto quali ripercussioni ha avuto sul mercato internazionale del grano. E comunque il governo Meloni aveva già avanzato l’idea di partecipare allo sminamento di quel mare. Le navi italiane potrebbero fare base in Romania, che è un Paese della Nato, senza mettere piede in Ucraina, e anche le autorizzazioni sarebbero facili.
Altro discorso è lo sminamento terrestre. Quando cesseranno le ostilità sul territorio ucraino, ci sarà da bonificare un territorio immenso letteralmente martoriato da mine, proiettili inesplosi di artiglieria, bombe sganciate dagli aerei, razzi, missili. «Quando una guerra finisce – racconta Fabio Pintus, artificiere che ha trascorso 38 anni con la divisa da alpino – la situazione è davvero critica». Pintus ha operato in Bosnia, Kosovo, Afghanistan. Dappertutto ha incontrato una miriade di ordigni inesplosi. «Due sono i pericoli principali: le sub-munizioni e i razzi inesplosi. Sono particolarmente instabili e vanno maneggiati con moltissima cura». Servono anche campagne di informazione tra i civili, specie i bambini. Guai a sottovalutare il rischio. A volte sbagliano persino i professionisti: nel 1995, in Bosnia, un artificiere portoghese sottovalutò una sub-munizione e la portò con sé nel dormitorio, dove cercò malamente di aprirla. Ci furono tre morti e diversi feriti.
Le sub-munizioni sono tante e piccole bombe a grappolo racchiuse in una bomba madre che si apre a una certa distanza dal suolo e disperde a terra centinaia di ordigni più piccoli. Serve a saturare un’area, che diventa inaccessibile. «Russi e americani le usano molto. Abbiamo trovato molte sub-munizioni di tipo sovietico in Afghanistan, così come quelle di tipo statunitense in Kosovo». Per dare un’unità di misura, ogni team di sminatori, composto da 2 o 3 artificieri, faceva esplodere una cinquantina di sub-munizioni al giorno. Ma il Kosovo era una piccola provincia e gli italiani si preoccupavano della loro ancor più piccola zona di competenza. L’Ucraina è sterminata. Gli unici che potrebbero sminarla sono i militari cinesi, che in Libano hanno fatto un lavoro eccezionale: dispongono di artificieri in grandi numeri e sanno coordinare il lavoro delle Ong di settore. —