il Fatto Quotidiano, 26 agosto 2025
Nel marcio sottosuolo col grande Dostoevskij: “Sono un brutto uomo”
Scrivo questo pezzo a Pietroburgo, in un albergo sulla Fontanka, uno dei canali che attraversano il centro della città, a poche centinaia di metri dal Kuznecnyj pereulok, il vicolo dei Fabbri, dove c’è l’ultimo dei ventuno appartamenti nei quali ha vissuto Dostoevskij a Pietroburgo; devo scrivere un pezzo su un cattivo in letteratura e la letteratura russa è piena, di cattivi, e i romanzi di Dostoevskij anche loro, i cattivi a Dostoevskij gli venivano bene.Sono qui per un viaggio sui luoghi della letteratura russa, il viaggio si chiama Gogol’ Maps, siamo qui in trenta, trenta italiani appassionati di letteratura che vanno a vedere dove hanno abitato e scritto Puškin, Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj, Brodskij, Dovlatov, Achmatova, Charms, Zošcenko, Mandel’štam, Chlebnikov, Belinskij e altri.
Ieri siamo stati nello Stoljarnyj pereulok, il vicolo dei Falegnami, da un lato del quale c’è la casa dove abitava Dostoevskij quando scriveva Delitto e castigo, dall’altro c’è la casa nella quale si presume abitasse Raskol’nikov dentro il romanzo, e la soluzione più semplice, per me, sarebbe parlare di Rodion Raskol’nikov, invece io penso che il cattivo più cattivo, dei romanzi di Dostoevskij, sia uno che non ha un nome né un indirizzo fisico, il protagonista di Memorie del sottosuolo, che noi conosciamo come L’uomo del sottosuolo.
Memorie del sottosuolo è stato pubblicato, per la prima volta, nel 1864, sulla rivista Epocha.
È un racconto memorabile, nel quale si dà una memorabile definizione di Pietroburgo, “la più astratta e premeditata città del globo terraqueo”, e il cui protagonista, l’uomo del sottosuolo, a un certo punto dice: “Io son poi da solo, e gli altri sono tutti”.
Io, quando l’ho letta per la prima volta, questa frase, avevo vent’anni, mi ricordo di essermi rivolto, nella mia testa, all’uomo del sottosuolo e di avergli detto: “Come tu? Sono io, quello che è da solo e gli altri sono tutti”.
Mi sembrava che Dostoevskij mi avesse plagiato.
Mi sembrava una cosa disonesta, prendere dei sentimenti miei e usarli per i suoi personaggi.
Memorie del sottosuolo è un racconto in prima persona che comincia così: “Io sono un uomo malato, un uomo cattivo, sono, un brutto uomo, sono io. Credo di essere malato di fegato”.
L’uomo del sottosuolo, un uomo malato, cattivo, brutto, è consapevole di essere malato e non si vuole curare; è maleducato e gode della propria maleducazione, scrive delle battute disgustose, e non le cancella, non le cancella apposta; è consapevole del fatto di non essere stato capace di diventar niente, e si consola con una malvagia, inutile idea consolatoria, che un uomo intelligente non può seriamente diventar niente, che diventano qualcuno solo i coglioni.
Abita a Pietroburgo anche se Pietroburgo gli fa schifo e, con i suoi mezzi ridicoli, Pietroburgo è una città troppo cara, per lui; è un personaggio che, quando sta male perché ha vergogna di sé, torna nel suo angolino a rodersi e a lisciarsi e a tormentarsi fino a che la sofferenza non si trasforma in un vergognoso, maledetto piacere e poi alla fine, in un chiaro, limpido godimento; un personaggio, “ipocondriaco e permaloso come un gobbo”, che si è sempre considerato “più intelligente di tutti quelli che lo circondano, e che, ci crediate o no, se ne vergognava”, un personaggio che dice di sé “io sono così vanitoso che è come se mi avessero tolto la corteccia, mi basta un soffio d’aria per farmi male”, un personaggio che capisce di avere sprecato la sua vita per vanità e per cattiveria, un personaggio che si chiede “ma cosa vogliamo!”, e si risponde “non lo sappiamo neanche noi”, che crede che “se i nostri desideri stravaganti venissero esauditi, staremmo peggio”, che dice “dateci più indipendenza, sciogliete le mani a uno di noi, allargate il cerchio della nostra attività, allentate il controllo, e noi… vi assicuro, noi chiederemmo subito di tornare sotto il vostro controllo”, un personaggio che si rende conto che “facciamo fatica anche a essere degli uomini, a essere degli uomini con un corpo vero, nostro, con il sangue nelle vene; ce ne vergogniamo, e cerchiamo di essere una specie di uomo universale che non è mai esistito”; ecco, questo personaggio, tra tutti i personaggi di Dostoevskij, non voglio darmi dell’importanza, è quello che mi assomiglia di più, e io, non son più convinto, come quando avevo vent’anni, che Dostoevskij mi abbia plagiato, ma credo che abbia fatto il mio, il nostro ritratto in un modo così preciso che, quando abbiamo bisogno di un cattivo, dopo aver letto Un uomo del sottosuolo non dobbiamo fare altro che guardarci allo specchio.