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 2025  agosto 25 Lunedì calendario

Meloni non rischi di sembrare doppia

Diventa sempre più difficile derubricare la politica estera parallela di Matteo Salvini a una questione di toni e battute infelici, perché un conto sono certe provocazioni a uso interno, altro l’attacco al presidente di un Paese fondatore dell’Europa come Emmanuel Macron, in questo momento figura di punta nelle scelte dell’Unione sull’Ucraina e bersaglio prioritario di Mosca. Il quotidiano francese Le Monde va dritto al punto. Le parole di Salvini vanno contestualizzate, è vero.
Ma non come fanno i suoi alleati italiani, collegandole al carattere guascone e al gusto dell’eccesso del capo della Lega. Piuttosto bisogna leggerle nel quadro dei suoi «stretti rapporti col Cremlino» e personalmente con Vladimir Putin, che definì «uno dei migliori uomini di governo che ci siano sulla faccia della Terra». La frase è del 2019, qualche anno dopo l’invasione e annessione della Crimea, ma se ne potrebbero citare decine di più recenti ed esagerate, compresa la difesa del regime di Mosca dopo l’assassinio di Aleksej Navalny.L’ardua fatica compiuta da Meloni per accreditarsi in ogni Cancelleria del Continente ha avuto come punto di forza tre elementi: la sobrietà dei comportamenti economici, l’unità e la durata della coalizione e la netta scelta a fianco dell’Ucraina in ogni passaggio di rilievo, compresi quelli maldigeriti come la formazione dell’asse dei Volenterosi. La posizione pro-Kiev è lo snodo che ha consentito di riallacciare i rapporti con Germania e Francia, è l’asse intorno a cui ruota il nuovo feeling con capi di Stato e di governo che nel 2022 non erano felici della vittoria delle destre, e in questa fase sembra contare di più persino rispetto alla vecchia ossessione dell’Unione per gli equilibri di bilancio.
Lo status conquistato dall’Italia può reggere se Salvini limita le sue incursioni polemiche al dibattito politico interno, ma se ne fa una esibizione sulla scena internazionale, se chiama in causa capi di Stato alleati irridendone le scelte, se riporta d’attualità la sua biografia filo-putiniana, il rischio è grande. Nessun Paese in questo momento può permettersi dubbi di doppiezza, e figuriamoci l’Italia con la sua storica fama di ambiguità.
È probabile che Giorgia Meloni taccia sperando che la questione di sgonfi da sé e che il sospetto di una sorta di «quinta colonna» filorussa nel governo possa essere stroncato per via diplomatica e contatti personali, dimostrando l’irrilevanza di Salvini nelle decisioni sulla scena internazionale più che accapigliandosi pubblicamente con lui. E tuttavia la politica estera parallela della Lega è un fatto e sta diventando un problema di prima grandezza. Poco importa che sia dettata dalle vecchie ossessioni anti-francesi del Capitano, da motivi di propaganda elettorale o dalla persistenza di interessi indicibili. Quel che conta è come ci vedono gli altri: non tutti sono disponibili ad addentrarsi nei giochetti dei nostri equilibri politici.
Qualcuno fa un paragone a proposito della frase «incriminata» di Salvini: è come se un ministro di alto livello francese, parlando dell’Italia che non vuole mandare truppe in Ucraina, avesse detto a Mattarella «metta fiori nei fucili e faccia l’hippy». Immaginare le conseguenze. Chiedersi se sarebbe sufficiente difendersi dicendo, come più o meno è stato detto, che abbiamo un vicepremier che apre bocca e le da’ fiato.