il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2025
Biografia di Iaia Forte
Già solo il viso, il sorriso, lo sguardo, raccontano un mondo in cui è piacevole venir avvolti. Con quel viso, quel sorriso, quello sguardo può permettersi molto, anche qualche “no” al cinema (“sempre dato priorità al teatro”), qualche “sti cazzi” alla fama assoluta, qualche consapevolezza oltre il comune sentire (“gli attori uomini, oltre i 40 anni, sono quasi sempre distrutti dal narcisismo”).
Con quel viso, quel sorriso, quello sguardo, Iaia Forte ha attraversato mondi inaccessibili ai più, uno dopo l’altro, da Carlo Cecchi a Luca Ronconi; da Toni Servillo a Paolo Sorrentino; da Pappi Corsicato a Gian Maria Volonté. Ora è in Come ti muovi, sbagli, ultima pellicola di e con Gianni Di Gregorio (produzione Bibi Film con Rai Cinema, in sala dal 5 settembre distribuito da Fandango), presente a Venezia alle Giornate degli Autori. “Gianni lo adoro, adoro i suoi mondi, la sua ironia, la sua eleganza…”.
Uomo, artista pacato.
Colto, intelligente, una sorta di Buster Keaton; poi come attore gioca con uno stile talmente personale da costringerti a scartare ogni meccanismo convenzionale; (pausa) Gianni non ha alcuna ambizione né affermazione del sé e questo lato mi piace da morire.
Caso raro.
Eh, rarissimo. Oramai gli ego sono esplosi. (Ci pensa) Per Gianni l’attore è un collaboratore artistico, quindi è felice se durante le riprese gli fai delle proposte, magari suggerisci una battuta, ne cambi un’altra. Tutto questo crea felicità.
Bene.
Con lui avrei già dovuto girare un film, ma ero impegnata con una tournée teatrale.
Il teatro è la priorità.
Sempre, nonostante dopo l’uscita di Libera (di Corsicato, 1993) siano arrivate tantissime proposte dal cinema, eppure non ho mai saltato una stagione teatrale.
A teatro ha un curriculum altissimo.
Un culo più che un curriculum; ho incontrato i migliori nelle migliori condizioni e poi ho iniziato con Teatri Uniti dove la formazione era legata all’idea di creazione collettiva.
Con e per alcuni grandi ha recitato più volte.
Con Ronconi tre, con Cecchi sette, con Servillo cinque, con Martone ho perso il conto; con Leo De Berardinis ho iniziato a 19 anni.
Si è mai spaventata davanti a tali colossi?
No, sono troppo spudorata, troppo felice di beccarmi il privilegio di avere una relazione con loro. E me la godo.
Timore reverenziale?
Quello sì, perché li colgo come maestri, padri, esempi. Però non soccombo mai agli autoritarismi che questi soggetti ogni tanto manifestano.
Chi è più padre tra i padri?
Carlo Cecchi e Federico Tiezzi.
Su Cecchi ha dichiarato: “Mi ha insegnato a proteggere la mia diversità in mezzo ad attori omologati”.
Carlo è un grande formatore: da regista-attore sa perfettamente cosa insegnare e soprattutto sa perfettamente che il maggiore insegnamento è quello di trasmettere come fare a meno del maestro, sviluppare la propria creatività. E proteggere la tua unicità.
L’industria cinematografica, da qualche anno, non cerca prevalentemente attori omologati?
Il più grande produttore sul mercato è la televisione e la televisione vuole volti rassicuranti; anche al Centro Sperimentale cercano fisicità confortanti.
Mentre lei…
Appartengo a un’epoca più rock. E da sempre adoro chi gioca le proprie carte in maniera non convenzionale.
Alla Ennio Fantastichini.
(S’illumina, alza i toni) Penso sempre a lui. È stato uno dei miei più cari amici e si lamentava perché sosteneva di lavorare poco; lui è stato un portatore di inquietudini, di follie, di rischi. Ennio era uno sfracellato, ma di una bontà, di una generosità rare. Eppure il suo sguardo da cattivo metteva realmente paura.
Lei ha frequentato il Centro Sperimentale.
Durante l’âge d’or, con insegnanti strepitosi come lo stesso Volonté, Lino Capolicchio, Gianni Amelio, Giuseppe De Sanctis, Ingrid Thulin; e ci stipendiavano pure. Oggi per entrare sono gli studenti a dover pagare.
Volonté insegnante.
Rigoroso, dava al lavoro dell’attore un senso di preziosità.
Che si è perso?
Ormai tutti sono attori, anche mia zia. Oggi l’attore è chi appare.
Mentre Volonté?
Ti comunicava che essere attore prevede un ruolo morale nella società; l’attore deve essere preparato non solo rispetto alla sua professione; deve risultare un uomo colto in quanto portatore di pensiero.
Di artisti così ne ha incontrati altri?
Ronconi, Cecchi e Martone sono così; (pausa) e Toni Servillo: ho esordito in scena con lui e porta con sé mondi straordinari; anche lui mi ha trasmesso l’importanza di non limitarsi a studiare il personaggio ma pure cosa lo circonda.
Esempio.
Quando ho recitato Molière mi suggeriva di leggere tutta l’opera, non solo quel testo teatrale; studiare è fondamentale per alimentare la propria immaginazione.
Per Servillo è fondamentale la noia.
(Ride) Perché è stupendamente pigro; gli spazi vuoti sono importanti, ha ragione, e rivendico anche il non fare un cazzo sul divano.
Al Centro Sperimentale, con i suoi colleghi, come sognava la professione?
Immaginavano un cinema come espressione artistica, non solo come prodotto.
Si sente sconfitta rispetto a quell’idea?
Sì, ma non sul piano personale.
Sono cinquant’anni da pellicole cult come Amici miei o Lo squalo. Tra altri 50 anni cosa festeggeremo?
(Silenzio lungo, ripete più volte la domanda) Scorsese, sempre.
Italiano?
(Altro silenzio).
La grande bellezza?
Sicuramente.
La sua potenza l’ha percepita subito?
Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato: “Cazzo che film…”. Ed è stato bellissimo far parte di una nave così inquieta e vitale.
Sorrentino lo conosce da prima.
Da Napoli, dai Teatri Uniti e ha sempre dichiarato che uno dei motivi per cui ha deciso di diventare regista è stata la visione di Libera; lo ricordo quando era solo assistente alla regia, simpaticissimo, timido, ma estroso, eccentrico, con un pensiero personale.
Già bravo?
(Ride) Mentre è diventato un grande regista, non lo era altrettanto come assistente: si scordava le cose, si perdeva dietro se stesso.
Prima ha citato Carlo Cecchi. Lui è refrattario agli incontri pubblici…
Eppure è l’uomo più intelligente mai conosciuto; gli ripeto sempre: “Sei un egoista, devi almeno scrivere un libro nel quale racconti il tuo teatro”. Invece non intende lasciare niente, nessuna testimonianza. Non vuole apparire.
Altra rarità.
In un momento in cui tutti sgomitano per esserci, figure così sono da “vivaddio”. È come Kurtz di Apocalypse Now.
Si rilassa mai?
In privato mantiene sempre una certa intensità: con Carlo non esiste la conversazione mondana, non conosce le formule intermedie; anche Marco Ferreri era così. Super libero. Super anarchico. A me piacciono queste nature eccentriche.
Lei è così?
No, sono molto meno libera.
Borghese.
Sono più nel mondo. Ma ho una dose di scelleratezza che rivendico.
Quindi?
Spero in vecchiaia, e manca poco, di diventare totalmente scellerata.
Da ragazza lo era più o meno?
Di più e credo di aver scelto di diventare attrice per via delle inquietudini: non sapevo come collocarmi; poi venivo dalla danza e siccome Servillo portava avanti un teatro sperimentale, dove lavorava molto con il corpo, iniziai ad avvicinarmi al teatro; (alza di un tono) sì, da ragazza non me ne fregava un cazzo, ero rock.
Spaventava i suoi genitori?
Non li facevo stare totalmente tranquilli, ma sono stati sempre aperti, non hanno contrastato le mie scelte; papà era cinefilo e mi consigliava di studiare il cirillico. Io preferivo andare in discoteca.
Lei discotecara?
Scatenata.
Tacco 12?
Non ce l’ho mai fatta; (sorride) ero una ballerina, partita con la danza classica, ma ho sempre avuto una struttura fisica gladiatoresca.
Gladiatoresca è feroce.
Quando è uscito I buchi neri, in una recensione hanno scritto “cammina come John Wayne”. L’ho adorata.
Eppure ha una matrice sexy marcata.
Io e Bertolucci siamo nati lo stesso giorno e una volta mi ha detto: “In Cina sostengono che quelli del 16 marzo sono allo stesso tempo donna e uomo”. La componente leggermente virile mi piace. E risultare sexy dà al personaggio qualcosa di destabilizzante.
Con il suo lavoro si è mai sentita in pericolo?
A volte per la psiche.
Quando?
Per Medea di Emma Dante: il personaggio mi costringeva ad affrontare i lati oscuri della vita, quando sono tendenzialmente solare.
Ha mai detto “no” per timore di un ruolo?
A me è toccato di tutto: l’uomo, la zoccola, la suora, la regina. Mi mancano solo gli animali; (sorride, tanto) con Ronconi la zoccola per due volte, per fortuna era con lui.
Com’era Ronconi?
Duro. A differenza di Cecchi che lascia totale libertà, Ronconi dava pure le tonalità.
Ma?
Era talmente bravo, talmente artista da accettarlo.
Ci crede ai complimenti post spettacolo?
No.
Sa mentire quando va a vedere i colleghi?
Sì.
Con quale frase?
“Non ho parole”.
Qual è il vantaggio della fama?
Dopo i due film con Salemme, a Napoli è cambiato tutto; a Napoli Salemme è meglio di San Gennaro: tavoli al ristorante, regali e, soprattutto, puoi portare in teatro spettacoli più complessi; e comunque non ho una fama insostenibile, la mia è una fametta.
Le dispiace?
Non me ne frega nulla.
Sicura?
A me basta poter realizzare le cose che amo, con le persone che amo; forse sono pure di natura aristocratica.
L’accuseranno di essere radical chic.
Sti cazzi.
I premi contano?
È bello quando ti riconoscono qualcosa, è una soddisfazione; il primo è arrivato a 18 anni con Goffredo Fofi, e in soldi: mi trovai con un milione e mezzo in tasca.
Soldi impegnati come?
Vestiti. La parte frivola prese il sopravvento.
Per vanità a cosa ha ceduto?
A tanto, sono soggetta.
Avrebbe posato per Playmen o Playboy?
Dipendeva dai soldi.
Le scene di sesso la imbarazzano?
Corsicato mi ha fatto girare di tutto, pure sverginata con un tacco delle scarpe; oppure far uscire il fumo dalla fica.
Scena celeberrima.
Dopo i Buchi neri entro in un bar di Napoli e il barista: “Uè, vaporella”.
Quindi niente imbarazzo.
Finché me lo sono potuto permettere, ora direi di no solo per vanità.
Da attrice si sente in missione per conto di Dio?
Ho sempre pensato che nessuno di noi avrebbe cambiato il mondo, nessuno di noi avrebbe inventato la penicillina. Per questo credo di saper stare al mondo.
Lei chi è?
A questa risposta metterei solo un punto interrogativo.