il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2025
L’Ue e l’umiliazioneinutile con Trump
Ricapitolando, non i fatti di questi tre anni e mezzo di guerra, poiché i lettori di questo giornale hanno avuto il privilegio di avere informazioni corrette giorno per giorno.
Per quanto la censura europea consentisse. Non le analisi che questo giornale ha pubblicato ribaltando le narrazioni prevalenti e smontando le menzogne che pseudo-analisti “d’alto ingegno perché d’alto lignaggio” avallavano seguendo le direttive euroatlantiche che poi erano quelle ucraine. Ricapitolando, quindi, i risultati degli ultimi 15 giorni di guerra e di attività politico-diplomatiche, si nota sul fronte ucraino la costante pressione militare russa contro le organizzazioni difensive ucraine ormai ridotte a un colabrodo grazie alla tattica dei mille tagli adottata dai russi. Il termine evoca la famosa tortura cinese di tagliare brandelli di carne senza far morire il condannato, ma come tattica militare è la riesumazione del vecchio progetto occidentale del Supc (Small Unit Precision Combat) ideato per colpire a grande distanza obiettivi limitati previa acquisizione del dominio dell’aria e perfetta organizzazione operativa e logistica. Tattica che non è mai stata applicata dalle forze tradizionali in nessun teatro di guerra perché troppo intelligente e dispendiosa e perché non assicurava il mantenimento delle posizioni acquisite. E tuttavia è stata la tecnica usata dai raid di forze speciali o degli stessi terroristi a Mumbai e alle Torri gemelle. I russi hanno potuto riprenderla acquisendo il dominio dell’aria, individuando obiettivi a corto raggio e schierando un apparato operativo e logistico di supporto in grado di mantenere il controllo di ogni metro acquisito. I russi hanno anche segnalato con determinazione che non intendono prendersi tutta l’Ucraina manu militari e neppure invadere l’Europa o attaccare un paese della Nato a meno che non siano europei e Nato ad attaccarli. La Russia vuole riprendersi quei territori che sono russi, che la popolazione vuole siano russi per aver troppo sofferto a causa della foga nazifascista della dirigenza ucraina. La Russia si rende conto che l’Ucraina puntando tutto sul Donbas e non avendo forze sufficienti per riprenderselo è destinata alla capitolazione militare completa. O meglio alla ricapitolazione militare dopo quella sofferta nel 2015 e rimediata solo grazie all’intervento occidentale e alla ricostituzione delle forze armate da parte della Nato consentita dagli accordi truffaldini di Minsk. La Russia sul campo ha già chiarito che ciò che riprende verrà mantenuto per garantire la propria sicurezza. La questione sul campo e in termini prettamente militari è quindi seria e seriamente affrontata dai russi; molto meno dagli ucraini e dai sostenitori europei che ignorando o mistificando la situazione sul terreno giocano a un tavolo politico-diplomatico con carte che non hanno, con idee che non hanno e con l’ostinata risolutezza a volere la propria disfatta: ossia ri-capitolando sul piano economico, politico e diplomatico come avvenuto in due guerre mondiali.
Da quando il presidente Trump ha sostituito il principale giocatore della partita e, come aveva preannunciato, ha impostato il gioco secondo le proprie regole, ucraini, europei e mezza America lo hanno preso di mira con una campagna di denigrazione. Non si vuole risolvere il conflitto, ma continuarlo “costi quel che costi” con una miopia straordinaria non solo sulla natura e l’ammontare dei costi, ma sulle stesse potenzialità di Europa e Usa. L’intenzione non è solo quella di convincere Trump a proseguire le politiche dell’assonnato predecessore versando miliardi inesistenti nel buco nero delle tasche dei dirigenti e oligarchi ucraini e quantità enormi di armamenti attingendo alle precarie scorte degli eserciti Nato; l’intenzione è quella di favorire il regime change non in Ucraina, come sarebbe logico, ma a Washington. Il metodo è tragicomico: untuosità, acquiescenza, servilismo da un lato e ostinazione dall’altro mandando avanti il traballante Zelensky e sostenendo le sue richieste tanto oniriche quanto rivolte a far fallire qualsiasi tentativo di negoziato. Gli anatemi europei contro Trump e sulla sua idea di arrivare a un accordo con Putin si sono trasformati via via in subdole iniziative perché l’accordo non venga mai raggiunto. Ancora una volta con molta miopia perché senza l’accordo di Trump, l’Europa dovrà affrontare la Russia da sola. Trump gioca anche su questo minacciando di ritirarsi dalla questione nel caso di fallimento dei colloqui, ben sapendo che l’Europa non ha i mezzi per affrontare un conflitto diretto e perciò riservandosi di “aiutare” la guerra vendendo all’Europa e all’Ucraina le armi necessarie a proseguire la guerra. Armi che gli Usa non hanno (ci vorranno anni perché ripianino le scorte) e soldi che gli europei non hanno per acquistarle. Gli anatemi anti-Trump si sono ripetuti in questi ultimi giorni a ogni annuncio di una telefonata o di incontro. Le accuse di essersi venduto a Putin, di voler smembrare l’Ucraina e di aver perduto la faccia in Alaska guidano le sceneggiate inconcludenti dell’incontro di Washington e delle successive telefonate a Putin. Trump fornisce molti motivi di critica, nella questione di Gaza tre quarti del mondo gridano allo scandalo per il suo cinismo, ma nonostante la baraonda del circo euro-atlantico, il vertice bilaterale in Alaska è stato determinante per gli Usa e per la Russia. Il tema fondamentale dell’incontro non era l’Ucraina. Lo scambio di territori era una balla, nessuno dei due ha parlato o avrebbe voluto parlare di questo. Nessuno dei due capi di Stato ha parlato di un incontro per la pace o il cessate il fuoco in Ucraina. Le cose fondamentali sono state diverse e pertinenti ai rapporti bilaterali e quindi legittimamente dovevano escludere altri partecipanti. Russia e Usa hanno concordato sulla ripresa delle relazioni politico-strategiche, sulle limitazioni nucleari, sulla non belligeranza reciproca. Trump ha ribadito la propria aspirazione a rendere gli Usa meno dipendenti dall’estero e a non dare eccessivo peso alle pulsioni europee in politica ed economia. Trump ha ribadito che gli Usa comunque interverranno anche con le armi là dove i propri interessi nazionali siano minacciati.
Mentre Trump e Putin si parlavano ad Anchorage, il presidente Usa stava autorizzando una forza di spedizione per un eventuale intervento contro il Venezuela e dava il benestare a Israele per la rioccupazione militare di Gaza.
Dei bambini di Gaza non gliene fregava niente come non gliene frega neppure della sorte di quelli ucraini che Zelensky continua a dichiarare deportati dai russi. La letterina elaborata dall’intelligenza artificiale per conto della signora Trump e da lui allungata in busta chiusa a Putin parla di bambini in generale e su questo concordano tutti, anche quelli che se ne fregano. Putin ha ribadito la posizione russa in merito alla sicurezza internazionale e agli interessi russi alla propria sicurezza, a partire dai confini. Putin ha spiegato a quattr’occhi quali sono le “radici” del conflitto in Ucraina e quindi della sicurezza russa sul fronte europeo, senza trascurare il fatto di essere a capo di uno Stato che abbraccia due continenti e che confina direttamente con gli Usa, che con essi condivide gli interessi nell’Artico, che l’aspirazione russa è quella di partecipare a una cooperazione intercontinentale che non si contrapponga agli interessi Usa ma che solleciti benefici per tutti. Trump ha dichiarato pubblicamente di aver “capito” la posizione geopolitica russa. Non significa che la sostenga, ma è già tanto che l’abbia finalmente capita visto che la Casa Bianca degli ultimi vent’anni l’ha volutamente ignorata.
L’affrettata e affollata messinscena di Washington non ha alterato di un millimetro i risultati di Anchorage. Trump, con i presunti alleati, e non con Putin, si è impegnato a trovare un modo per un vertice tra Putin, Zelensky e lui stesso. Non è detto che ci riesca, e nemmeno che la cosa lo interessi molto. Trump si rende perfettamente conto di essersi ficcato in un vespaio e che a dar retta agli europei rischia di peggiorare la situazione per sé, per la sua candidatura al premio Nobel per la pace e, forse, per gli affari che intende fare a spese dell’Europa e dell’Ucraina. D’altra parte lo stesso accordo sulla ripresa delle relazioni con la Russia e sulla moderazione del rischio nucleare, se e quando reso ufficiale da un trattato, sarebbe già motivo di Nobel. In passato tale prestigioso premio è stato assegnato per meno, molto meno o niente addirittura. A Washington non si è risolto nulla ma si sono chiarite alcune cosette.
I leader europei hanno dimostrato di non avere nessuna dignità e hanno coinvolto i propri paesi e cittadini in uno spettacolo miserabile. In effetti questa capitolazione della dignità personale e collettiva è stata stigmatizzata da molti media europei, ma per il motivo opposto: sono stati giudicati indegni per non aver insultato Trump, per averlo ascoltato, per essersi presentati in giacca e cravatta (non tutti) e per non aver preteso che accettasse tutte le farneticazioni sulla difesa dell’Europa e del mondo dalla pazzia di Putin, per non aver detto chiaro e tondo a Trump quello che dicono nei loro appuntamenti galanti: che entreranno in guerra a fianco dell’Ucraina con o senza l’America, che hanno già pronte le testate nucleari da lanciare su Mosca e per non aver dichiarato guerra agli Stati Uniti in risposta ai dazi.
In realtà è stata una capitolazione di dignità per aver ascoltato le banalità che Trump aveva preparato per loro (ciò che meritavano) e per aver rinunciato a capire quello che Trump aveva già capito: che la loro retorica dell’intransigenza è più pericolosa della guerra, che la situazione dell’Ucraina e dell’Europa è destinata a peggiorare, che loro non meritano alcuna considerazione da parte dei propri cittadini per non essere stati capaci di prevenire e risolvere i conflitti, che loro non contano nulla alla Casa Bianca e a casa loro e che avrebbero dovuto ringraziare Trump per non averli cacciati a pedate.
Nonostante ciò è stato chiarito che i negoziati di pace in Ucraina non hanno bisogno del cessate il fuoco. Putin ha detto più volte in maniera chiara che non cadrà più nel tranello di Minsk e che adesso le garanzie di sicurezza per l’Ucraina le vuol dare lui stesso, nei suoi termini, e che anzi è la Russia che vuole dalla Nato e dagli altri europei le garanzie per la propria sicurezza. Trump non ha promesso nulla in merito a un intervento diretto nelle “garanzie” per l’Ucraina. Anche lui, come Putin non si fida degli europei e dei dirigenti ucraini. Trump sembra aver capito bene il punto di vista della Russia sulla sicurezza globale e quella ai suoi confini e sa che né la Nato né nessun soldato europeo dei paesi considerati ostili (Italia compresa) potrà metter piede in Ucraina, che la neutralità ucraina esclude l’adesione alla Nato e passa per la smilitarizzazione o quantomeno la limitazione dei propri apparati a forze di sicurezza interna.
Trump ha anche sgamato il trucco europeo dei cosiddetti Volenterosi di assegnare all’Ucraina, con o senza l’accesso all’Unione europea, uno status simile all’alleanza militare sul tipo dell’articolo 5 della Nato. Teoricamente non è un’idea balzana, ma i molti osservatori che la sostengono sono evidentemente distratti. Si tratterebbe di includere l’Ucraina in un trattato multilaterale o più trattati bilaterali che prevedano la difesa collettiva non come l’art. 5 ma in maniera più stringente: esattamente come vuole interpretarlo l’attuale comando della Nato pianificando l’attacco preventivo. In pratica si tratterebbe di chiudere la Nato e sfasciare l’Unione europea, cose anche salutari, se non aumentassero i rischi di sicurezza per tutto il continente. Infatti, ogni paese della Nato o dell’Unione che adottasse l’iniziativa esporrebbe le rispettive organizzazioni al rischio di conflitto che l’Ucraina volesse aprire o provocare con la Russia. Non solo, senza la cessazione del conflitto attuale ogni paese aderente diventerebbe cobelligerante e quindi soggetto alle rappresaglie o alle azioni preventive russe. L’Unione europea e la Nato sono già in una situazione simile per la partecipazione diretta alla guerra tramite gli aiuti e alle sanzioni ed è soltanto grazie all’ambiguità di Trump se la Russia non tratta i paesi europei come nemici dichiarati e non ci tira addosso qualche missile. L’ambiguità di Trump ripropone il vecchio dubbio sulla volontà Usa di sostenere un conflitto diretto anche nucleare in Europa. Questa volta non si tratterebbe di salvare “Danzica” o qualcuno, ma di coinvolgere tutti in un conflitto disastroso dal quale si uscirebbe solo ri-capitolando. Definitivamente.