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 2025  agosto 23 Sabato calendario

Intervista a Lina Sastri

Ci vuole un’abilità particolare per trasformare gli spigoli in punti di forza. Lina Sastri ci è riuscita, continuando per tutta la vita a evitare formule compiacenti, a mostrare un’autonomia indomita, a mettere i puntini sulle i, ogni volta che lo reputa necessario: «Ho detto troppi no – riflette parlando della carriera cinematografica – così sono stata espulsa. Li ho detti per via di mie vicende amorose strampalate, ho seguito quelle, e non sono stata felice perché quando dai troppo, non ricevi mai abbastanza». La musica, invece, come il teatro, non si è mai fermata (stasera è ospite del 27° Kaulonia Tarantella Festival, diretto da Morgan e da Mimmo Cavallaro), e il cinema, alla fine, è sempre tornato, offrendole anche la prima regia con il film dedicato alla madre, La casa di Ninetta, tratto dal libro omonimo: «Nell’arte la verità è importante, quando la dici, vedi subito che arriva diretta ai cuori delle persone. E poi il cinema è visione e io ho scoperto di avere un’attitudine visiva. Mi piacerebbe molto tornare dietro la macchina da presa, ho già due progetti, nel frattempo ho fatto un corto La mancanza, che sarà a dicembre al Festival del cinema di Madrid, e, a novembre, sarò al Torino Film Festival, il direttore Giulio Base mi ha chiesto di presiedere la giuria dei corti».
Di cosa parla La mancanza?
«Di quello che succede quando si perde una persona, mi riferisco al periodo del Covid che forse tutti vogliamo dimenticare. Io ho perso mio fratello, si è ammalato e non ho potuto più rivederlo, è stato terribilmente doloroso».
Ha detto “mi manca tutto, mi sembra di non aver fatto ancora niente”. È ancora così?
«Non mi piace parlare di quello che mi manca, preferisco parlare di quello che ho e con fatica, riesco a vivere. Siamo in un mondo difficile, che non ti restituisce niente, dove tutto, dal punto di vista intellettuale, è livellato, povero, affollato, copiato. Viviamo sui social, che sedimentano e diffondono, mettendo le cose sullo stesso livello, come se fossero uguali. Così il lavoro dell’artista diventa complicato».
In che senso?
«Ho l’impressione che tutto sia “copiaeincollato”, tutti condividono tutto senza sapere di cosa stanno parlando, il messaggio più superficiale è quello che si diffonde prima. Penso di essere fortunata, perché ho vissuto un tempo in cui tutto questo non c’era».
Gli incontri più importanti della sua vita professionale?
«Tutti, anche se non in uguale misura. A cominciare dai primi, che ovviamente rimangono più impressi. Parlo di Eduardo, Giuseppe Patroni Griffi, Armando Pugliese, Pino Daniele, Nanni Loy, Nanni Moretti».
Quali sono gli insegnamenti più importanti di Eduardo?
«Un po’ gli stessi ereditati da mia madre. Il rigore e la libertà».
Spesso la libertà impone prezzi molto alti. Soprattutto alle donne. Le è capitato di pagarli?
«Più che spesso direi sempre, la libertà continuo a pagarla in ogni attimo della vita. La libertà di dire quello che penso, essere una donna senza protezione di niente e di nessuno. E parlo anche della fragilità, perché chi compiace gli altri si sente forte, chi non lo fa è inevitabilmente più esposto».
Anche il rigore non è una dote facile con cui vivere. Perché?
«Le ragioni sono tante, dovremmo parlare del rapporto tra maschile e femminile, di potere costituito e assenza di protezione, di appartenenza o meno a una tribù piuttosto che a un’altra. Il rigore non si trova spesso, e, quando ce l’hai, non viene perdonato, così come la libertà, a meno che non ci si trovi in una posizione di potere».
La condizione femminile è migliorata oppure no?
«Le donne di un tempo conoscevano bene le differenze tra il maschile e il femminile e, in qualche modo, governavano le loro vite, perché davano valore al loro essere madri, mogli, elemento unificante della famiglia. Poi hanno cercato l’emancipazione, attraverso lo studio, il voto, la parità, ottenendo i loro diritti. Quando la società italiana ha smesso di essere contadina e si è adeguata al modello americano, commerciale, si è affermata una diversa etica familiare. Tutto questo ha fatto sì che, oggi, le donne siano molto sole, anche da giovani e di più che in passato. Si è poi aggiunta la commercializzazione del corpo femminile, vediamo ragazze che fanno di tutto per somigliare a qualcosa che non sono, perdendo di vista il rispetto di sé stesse. Tutte cose che non onorano l’essere femminile, di per sé meraviglioso».
Ha rimpianti?
«Pochi, perché ho sempre rischiato e pagato il prezzo, visto che non sempre ho vinto. Sicuramente rimpiango di non aver avuto figli, li avrei voluti, purtroppo non sono arrivati e mi è capitato di perderli. Penso che siccome siamo femmine e abbiamo un corpo, creare il miracolo di una vita umana sia meraviglioso. Penso anche che i figli vadano accompagnati e forse, se ne avessi avuti, non so se avrei continuato a fare questo mestiere. Rimpiango di non avere avuto una famiglia mia, stabile, con un uomo accanto, sono stata sposata, anni fa, ma solo per un breve periodo. Nella mia vita personale sicuramente sono sola, senza una grande felicità. Nell’arte, invece, ho ancora molto da fare, e la felicità la trovo in palcoscenico, almeno ogni tanto».
È napoletana. Come vede la trasformazione in atto, il suo essere ormai super– turisticizzata e super-raccontata?
«Sono contenta per chi ci abita, vedo un grande cambiamento, una forte energia, per strada si viene trasportati da fiumi di persone, sempre in giro, anche di notte. È bello, anche se tutto questo fa perdere di vista la verità della città, che resta sempre un miracolo straordinario. Napoli è una città democratica, anche chi non ha soldi può stare in vacanza come e quando vuole, offre sempre qualcosa, un’imprevedibilità, un movimento… L’hanno raccontata molto, tanti male, altri meglio». —