La Stampa, 24 agosto 2025
Cromosoma Y
Un test combattuto per decenni è tornato a decidere il destino di diverse donne nel giro di pochi mesi: per gareggiare ai Mondiali di atletica di Tokyo tutte le atlete devono dimostrare di essere biologicamente femmine. Non è più la stessa procedura di un tempo e nemmeno la stessa idea, è possibile che oggi, in attesa di ulteriori studi, sia una risposta alla questione più urgente: garantire l’equità della competizione, ma il concetto è legato a un peccato originale che torna. Con tutto il suo carico di ombre.
Il test genetico Sry (Sex-determining Region Y) è diventato obbligatorio a fine luglio ed entro il primo settembre qualsiasi donna iscritta ai Mondiali dovrà sostenerlo. Tampone per bocca o esami del sangue, campioni mandati in un laboratorio accreditato per ricevere l’analisi del proprio Dna e la garanzia di non avere il cromosoma Y. È la radicale decisione presa da World Athletics, la federazione internazionale, è una misura presa per proteggere lo sport femminile che inevitabilmente impatta sull’esistenza di diverse atlete. Sia chiaro: è inevitabile regolamentare il problema, eppure resta difficile non pensare che è già successo. È sempre successo ed è spesso stata una caccia alla streghe.
Da quando le donne hanno forzato il blocco che le escludeva dallo sport, degli uomini hanno stabilito modi per controllarle. E le hanno messe in dubbio o in ridicolo o ai margini. Oggi sono le atlete, con ogni ragione, che chiedono un campo neutro in cui correre o saltare o marciare e quello che può dirci la scienza nel 2025 non è purtroppo inclusivo al cento per cento. Lo sport sta cercando il vocabolario, l’approccio e il sistema per essere davvero garante dei diritti di ognuno e ognuna. Nel mentre, qualcosa si deve fare. Per forza ma la fretta con cui il procedimento si è trasformato in obbligo scatena comunque ondate di inquietudine. Fastidio sedimentato nel tempo.
La richiesta di controlli nasce nell’istante esatto in cui, alle Olimpiadi, l’atletica apre alle donne: 1928 e non si sa che voglia dire Dsd (differce sex development, sviluppo alternativo del sesso), non si pensa alla transizione da un genere a un altro, semplicemente si trovano «indecenti», secondo cronache d’epoca, «donne ansimanti al traguardo degli 800 metri». Ansimano anche gli uomini, solo che a loro non è richiesta la grazia dopo lo sforzo fisico. Da lì gli 800 metri spariscono e rientrano nel 1960, da lì si chiede conferma del sesso. La biologia non c’entra, è puro pregiudizio.
Nel 1934, la storia di Zdena Koubková offre una scusa agli scettici. Lei vince medaglie ai Giochi femminili, stabilisce record, attira attenzioni e scatena critiche: «Troppo mascolina». Deciderà di diventare un uomo (Zden?k) e da lì ogni risultato straordinario sarà considerato falso. Salvo prova contraria. La prima è un’ispezione corporale. Invasiva e umiliante, atlete nude negli spogliatoi. In teoria, scelte a caso, in realtà secondo l’aspetto e per i primati che sfoggiano. La pratica barbara non è ufficiale, però è diffusa e regge fino al test genetico, parente di quello attuale. È il 1976, si usa il «Barr test» che cerca i due cromosomi X per stabilire il passaporto di idoneità. I falsi negativi sono molti, le esclusioni immediate, senza ricorsi o accertamenti. Non somiglia al metodo di oggi, non solo perché adesso si agisce sul cromosoma Y e con altre strutture e precisione, ma anche per la procedura legale e l’assistenza messa in atto.
Nel 1999 il Cio decide che ci sono troppi errori e archivia ogni determinazione di genere. Si sono sviluppati i test antidoping, archiviate le derive sovietiche, i farmaci di stato della Ddr, si pensa di essere oltre la necessità di accertamenti. Fino a che non incontriamo Semenya che è davvero forte e sul serio unica. Tanto speciale da essere ancora in tribunale. Non si è risolta nessuna ambiguità su di lei, perché maschio e femmina non sono categorie così definite. Semenya vince ogni titolo negli 800 metri, viene trattata orrendamente, usata come paragone, identificata come cavia. Si sbaglia così tanto che diventa imperativo migliorare. E si continua a inciampare.
Dopo di lei le norme si spostano sui livelli di testosterone e cambiano a seconda della distanza, poi si rendono uguali per tutte. Si propongono cure ormonali che condizionano il rendimento, in alcune circostanze anche la salute. Non ci sono obblighi, ma è l’unico modo per partecipare a Mondiali e Olimpiadi. Per sognare. Cresce la consapevolezza, la sensibilità, anche la volontà di tutelare lo sport al femminile e si arriva a oggi. Un punta da cui passare e in cui non fermarsi, l’ennesima X che condizionerà la vita di qualcuna per tutelare la carriera di tante. Con l’ambizione di raggiungere, in qualche maniera, il rispetto assoluto. Obiettivo che non può, per nessuna ragione, essere considerato utopia. —