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 2025  agosto 24 Domenica calendario

Compagno Lavrov

«Egregi compagni, se volete ordinare la maglia-leggenda Cccp dovrete aspettare 58-60 giorni». La lista d’attesa per la felpa sfoggiata da Sergey Lavrov in Alaska si sta allungando a vista d’occhio, e il sito di SelSovet, giovane marchio degli Urali che gioca abilmente con i motivi retrò dei film sovietici per declinarli in una versione trendy, si sta godendo una inaspettata fama internazionale. «Ora lavoriamo senza sosta», racconta ai giornalisti Ekaterina Varlakova, che qualche mese fa era riuscita a ottenere una commessa dal ministero degli Esteri russo: «Immaginavo che una delle maglie fosse destinata al ministro, ma non avrei mai pensato che l’avrebbe indossata per il summit».
A 75 anni, e dopo 21 anni in servizio, Sergey Lavrov sembra essere diventato il nuovo testimonial della politica del Cremlino. È a lui che Vladimir Putin affida le repliche sulle iniziative diplomatiche che partono da Washington, è lui che butta secchiate di acqua fredda sull’entusiasmo di Donald Trump rispetto a un vertice con Volodymyr Zelensky. Dopo aver affidato alcune delle fasi più sottili del negoziato a mediatori lontani dal grattacielo del ministero degli Esteri, e addirittura aver escluso il ministro da alcune tornate di colloqui con la delegazione ucraina a Istanbul, il presidente russo ha recuperato il suo fedelissimo. Negli ultimi anni, la politica estera veniva gestita da Putin in persona, e Lavrov insieme alla sua portavoce Maria Zakharova avevano ricoperto spesso un ruolo più di propagandisti che di diplomatici in senso tecnico. Ma ora le voci che il ministro più longevo di Putin avrebbe chiesto le dimissioni sembrano smentite: è tornato, diventando anche il trendsetter della moda.
Ovviamente è possibile che Mosca stia usando Lavrov – annoverato nelle classifiche dei cremlinologi come uno dei “falchi” – come “poliziotto cattivo”, per aumentare la pressione su Trump. Ma la felpa del ministro, da curiosità a margine di un vertice che ha prodotto poca sostanza, diventa un simbolo e una dichiarazione politica: «Quella di Lavrov è stata una improvvisazione, che però ha colto correttamente il messaggio da trasmettere alla vigilia dell’incontro con Trump: non c’era da aspettarsi nessuna distensione», commenta il giornalista moscovita Georgy Bovt. E il politologo Sergey Medvedev eleva la maglia con la scritta Cccp a un manifesto politico del putinismo: «Vogliono la vecchia Urss, con i suoi confini, la sua influenza, la paura che incute, le armi che le permettevano di parlare alla pari con l’America e dall’alto in basso con il resto del mondo. È questa la vera causa all’origine della guerra».
In effetti è surreale vedere un ministro che sfoggia sul petto il nome di Paese non suo, che per giunta non esiste più. Ma mentre una maglia con la scritta “Russia” farebbe pensare al massimo alla nazionale di hockey, la felpa dell’Urss identifica immediatamente un simbolo, uno stile e un’ambizione. Il dibattito sul look di Lavrov è possibile solo in un Paese in cerca disperata di una identità, come mostra anche la serie televisiva “Il sovrano”, che in dieci puntate riscrive il mito di Pietro I. Appena uscita sugli schermi russi, è stata firmata da due nomi illustri come il responsabile della TV Konstantin Ernst, autore delle Olimpiadi di Sochi, e il metropolita Tikhon Shevkunov, ritenuto il “confessore di Putin”, che adeguano la figura dello zar-modernizzatore alle esigenze ideologiche correnti. Il risultato è un giovane Pietro fieramente nazionalista, che ammira l’Europa soltanto per il suo progresso tecnologico, mentre disprezza gli europei, interessati solo ai soldi e governati da regnanti grottescamente effemminati e affettati. Tornato in patria, il giovane zar afferra un’ascia per decapitare i traditori, «per il bene dello Stato».
Una versione che non sarebbe dispiaciuta a Stalin, che nel 1937 aveva infatti commissionato una storica pellicola su Pietro, imparata a memoria dalla generazione di Putin e Lavrov. Lo zar nel quale il presidente russo dichiara di riconoscersi taglia le teste con le sue mani mentre bacia icone, e anche i fedelissimi non riescono più a sentirsi al sicuro: mentre i servizi segreti continuano ad arrestare governatori e imprenditori di regime, ogni venerdì si allunga implacabile la lista degli “agenti stranieri”. Che finora comprendeva essenzialmente intellettuali dissidenti, ma questa settimana ha incluso anche Sergey Markov, un fervente propagandista putiniano, iscritto nel registro dei “nemici del popolo” per aver concesso interviste ai giornali stranieri (inclusi gli italiani). Il remake dell’Urss comincia ad assomigliare sempre di più all’originale. —