la Repubblica, 23 agosto 2025
Intervista a David Almond
«Queste storie riguardano la mia infanzia. Parlano delle persone con cui sono cresciuto, delle nostre speranze e delle nostre paure. Riportano in vita coloro che sono scomparsi, facendoli di nuovo camminare tra le pagine di un libro. E come tutte le storie cercano di riscoprire ciò che è andato perduto». David Almond, 74 anni, premiato e blasonato autore britannico per ragazzi (ma ne siamo proprio sicuri? I suoi libri dovrebbero – e in molti casi lo sono – essere letti da tutti), non esita nemmeno un minuto: «I racconti contenuti in questo libro risalgono a molto tempo fa, sono storie che ho scritto prima di tutte le altre, prima ancora di Skellig», il romanzo che lo ha lanciato nel 1998 e lo ha fatto conoscere a livello internazionale, tradotto in 40 lingue.
In particolare, ce n’è una, intitolata Dove avevi le ali,«basata su una mia esperienza: la perdita di una sorellina quando avevo sette anni. Una storia che ho lasciato depositare per tanto tempo, prima di metterla per iscritto. E poi è arrivato il momento nella vita in cui improvvisamente ho sentito il bisogno di esplorare la mia infanzia».
Così è nato Contare le stelle,titolo evocativo almeno quanto lo è la scrittura di Almond, uscito in Gran Bretagna 25 anni fa e tradotto ora per la prima volta in Italia da Salani, che lo scrittore presenterà nei prossimi giorni a Mantova, ospite del Festivaletteratura. «Sono stato in Italia diverse volte negli ultimi anni ed è sempre un’esperienza fantastica. C’è qualcosa nella risposta italiana ai miei racconti, al mio lavoro, che è molto incoraggiante. I lettori italiani mi fanno sempre le domande più belle», ci dice subito quando lo raggiungiamo in videochiamata nella sua casa nel Northumberland, nel nord-est dell’Inghilterra.
«Potrebbe essere il miglior lavoro di Almond» è il commento con cui queste storie sono state accolte dall’ Independent. Sicuramente non si tratta di un libro per ragazzi, Almond ne è tuttora convinto, pur essendoci dei bambini al centro di ciascuno di questi racconti. «Scrivo da molto tempo, ma queste storie sono state le migliori cose che avessi mai scritto per tanti anni».
In queste pagine ritroviamo le stesse atmosfere che animano i suoi romanzi successivi. In certi casi persino gli stessi temi, come la morte di un genitore, la paura di perdere un fratello o la ricerca della propria identità. Si può dire che da questo libro ha avuto origine tutto il resto?
«Probabilmente sì. Quando guardo questo libro, ora, vedo tante cose di cui ho non ho smesso di a scrivere nel corsodegli anni. E continuo a immaginare storie collegate a questo libro. Quindi è una fonte costante di creatività per me».
Nelle storie fa convivere persone reali e immaginarie, memoria e sogno. Perché?
«Era l’unico modo. Avendo a che fare con persone reali, le mie sorelle e i miei genitori, ho lasciato i loro veri nomi. Ma per usarli nelle mie storie, per trasporli narrativamente nel modo giusto, dovevo circondarli di luoghi immaginari, di persone non reali. E, stranamente, in questo modo sono riuscito a raccontare un nuovo tipo di verità».
Continuare a vedere il mondo con gli occhi di un bambino, con lo stesso senso di meraviglia e la stessa curiosità: lei in questo è un maestro. Ma come è possibileriuscirci una volta cresciuti?
«Penso che tutti abbiamo bisogno di provare ancora meraviglia guardando il mondo. Come? Per esempio prendendoci del tempo per farlo. Invece di essere sempre sotto pressione, proiettati continuamente in avanti verso nuovi obiettivi, dovremmo ogni tanto concederci del tempo per lasciare vagare il nostro sguardo sul mondo e rimanerne stupiti. Rilassati, prenditela comoda, guardati intorno. E goditi ciò che ti circonda».
La morte, la perdita, il lutto, persino la guerra: sono temi che affiorano spesso nei suoi romanzi. In che modo possiamo sostenere i più giovani nell’affrontare questo tipo di esperienze?
«Scrivo molto sul lutto e sulla morte, e anche sulla guerra.
Penso sia dovuto al fatto che mio padre ha combattuto nel Secondo conflitto mondiale e una volta tornato non ne ha mai parlato veramente. È morto quando avevo 15 anni. Quindi ho esplorato costantemente questa l’idea.
Viviamo in un mondo in cui accadono anche cose terribili e non possiamo nasconderlo ai bambini. Devono vedere quanto c’è di bello, oltre che di orribile.
Da bambino, ho subìto un lutto per due volte, perdendo prima mia sorella poi mio padre in circostanze tragiche. Quindi cerco di dire ai ragazzi: “Sì, possono succedere cose spaventose, ma si può stare anche bene”».
Qualche anno fa lei ha scritto “La guerra è finita”. Adesso, con quello che sta accadendo a Gaza, possiamo dire che è tornata a essere un tema caldo. Cosa pensa di questo conflitto?
«Tutto quello che vedo è orribile.
È incredibile che possiamo permettere che questo genere di cose accadano nel nostro mondo oggi. È assolutamentevergognoso. Orrendo. Non trovo altre parole».
Un altro tema che emerge chiaramente dai racconti è la sua fede cattolica.
«Ho sempre evitato di affrontarlo. Ma poi, mentre scrivevo Contare le stelle,ho capito che per diventare il tipo di scrittore che volevo essere, dovevo accettare di provenire da una famiglia di tradizione cattolica, che il cattolicesimo era nel mio sangue e nelle mie ossa, e non potevo liberarmene. Puoi combatterlo certo, oppure puoi dire: beh, in realtà mi fornisce un sacco di immagini fantastiche. Mi rende quello che sono».
Questo è un libro molto personale, semi-autobiografico.
Quanto è stato catartico per lei scriverlo?
«Lo è stato soprattutto quel primo racconto, Dove avevi le ali,a cui ho lavorato molto prima degli altri. È stata la prima volta che ho affrontato la morte di mia sorella ed è stato molto doloroso da scrivere, perché ha fatto riaffiorare il dolore, ma poi mi ha liberato da tutto. Quindi posso dire che è stato piacevole mettere le mie sorelle e i miei genitori sulla pagina, perché scrivendo queste storie mi sentivo a casa».
E come è cambiata la sua scrittura in tanti anni?
«Penso sia cambiata solo nel senso che ora sperimento molte forme narrative diverse. Scrivo romanzi, scrivo ancora racconti brevi quando ne ho l’occasione, e poi albi illustrati, testi per il teatro».
Può rivelarci qualcosa sul suo metodo?
«Uso molto i taccuini, dove passo tanto tempo a scarabocchiare, abbozzando le mie idee e combinando guai (ride).E solo dopo mi metto a scrivere al computer. Quindi vado avanti e indietro tra la carta e lo schermo. Non pianifico mai troppo, lascio che le cose accadano».