la Repubblica, 24 agosto 2025
Intervista a Vittorio Sgarbi
«Usare la forza è stata una scelta sbagliata. Ma lo sgombero del Leoncavallo era inevitabile: quella stagione è finita». Vittorio Sgarbi è ancora convalescente dopo la profonda depressione che lo ha costretto a un lungo ricovero al Policlinico Gemelli. Ma sul centro sociale di via Watteau, occupato dal 1994 e adesso, dopo l’intervento delle forze dell’ordine, rimasto senza una sede, vuole dire la sua. Del resto lo conosce bene. Nel 2006 da assessore alla Cultura del Comune di Milano (incarico che ha ricoperto per due anni, fino al 2008, con la giunta guidata da Letizia Moratti) era andato a visitarlo, e lo aveva definito «la Cappella Sistina della contemporaneità», avanzando la proposta di tutelare i murales.
Sgarbi, perché dice che lo sgombero era inevitabile?
«Perché quello spazio rappresenta una stagione che non ha più un’attualità nella vita culturale e sociale milanese. Le ragioni per le quali il Leoncavallo aveva un significato alla fine del Novecento sono finite. C’è un difetto di storia nel Leoncavallo di oggi, un limite, una dimensione puramente astratta,e questo lo rende diverso da quello che è stato in quel momento. Siamo davanti all’evoluzione naturale di un fenomeno che era romantico ed è diventato invece accademico, senza la forza di incidere e cambiare la società».
Allora aveva paragonato alla SIstina i murales del centro sociale.
«Era un’altra stagione. Sono stati travolti dalla velocità del tempo che ha portato a una visione più funzionalistica, meno decorativa e meno narrativa della vicenda culturale e politica milanese. I graffiti testimoniano l’attuale.
Quindi l’idea di rinnovarli continuamente, farne di nuovi per rappresentare il mutamento della società è inevitabile nella loro stessa natura. Sono stati concepiti e vengono concepiti di stagione in stagione».
Questa è l’estate dell’inchiesta sull’urbanistica di Milano. Che cos’è oggi la città?
«Milano non è più la città degli studenti, ma quella dei ceti sociali, di una comunità che vuole uno sviluppo che faccia sentire la concretezza e la dimensione industriale, e non solo culturale. Credo che non siastato giusto fare lo sgombero con la forza, ma, ripeto, è stato inevitabile, che è diverso. La situazione di Milano, in un momento in cui l’amministrazione è debole, impone di non cedere a forme di decorazione che sono lontane dalla storia».
A Roma gli spazi occupati da Casapound non sono stati liberati.
«Casapound ha una storia diversa rispetto ai graffiti che rappresentano una realtà viva e presente e non un documento di passaggio storico. Quelle decorazioni raccontano l’evoluzione della città, il passaggio da una condizione sociale a un’altra».
Sgarbi, ma lei come sta? È tornato ogni tanto ad affacciarsi sui social.
«Riprenderò la mia attività a Ferrara e a Rovereto con iniziative e mostre di grande respiro, da Feininger a Girolamo da Carpi, che indicano la necessità di far vedere fenomeni marginali e non sufficientemente illuminati. Un impegno che continua nel solco di quanto ho sempre fatto».