Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  agosto 24 Domenica calendario

Biografia di Jannik Sinner

«Mi sono appassionato ai Lego, moltissimo. Di sera, per esempio, costruisco con i Lego».
Che cosa sta costruendo?
«Un’auto, ovviamente».
E se li porta dietro?
«Dipende. Qui a New York so di avere un po’ più tempo e c’è un negozio di Lego molto vicino al mio hotel. Perciò ci sono andato, ho comprato una Porsche. E l’ho finita in un giorno, in cinque ore. Allora ho pensato: me ne serve una più grande. Il mio istinto mi dice che l’ultima che ho preso è troppo grande... Ma mi piace. Metto su la musica e penso ad altro. Quando sei un tennista o un atleta, hai così tanti pensieri nella testa, e anche pressioni. Tutto il tempo. E quindi di sera mi piace...».
Il ventiquattrenne Jannik Sinner si racconta – alternando italiano, tedesco e inglese – in un’intervista con un piccolo gruppo di giornaliste di testate internazionali, tra cui il Corriere della Sera, a New York dove si trova per giocare agli Us Open. Vestito Gucci, al polso un orologio Rolex (due dei suoi sponsor) si siede con noi dopo una festa, venerdì sera, al club «The Core» per celebrarlo come ambasciatore delle crociere Explora Journeys. È molto diplomatico nelle risposte, ma resta in lui la spontaneità di un ragazzo. È il numero uno, ma è consapevole della natura provvisoria dello sport, che puoi fare solo da giovane e se qualcosa va storto puoi perdere tutto. «Non è neanche detto che io e Carlos (Alcaraz, ndr) siamo quelli lì, adesso è quasi due anni che stiamo giocando i Grandi Slam, ma le cose possono cambiare, se uno non si migliora altri giocatori arrivano... quindi tra altri due anni vediamo chi si è stabilito, chi si è migliorato, chi è peggiorato».
La sua vita è tutta legata al tennis. Non ti sa dire quale sia la sua canzone preferita («ascolto tutto, non ho una playlist») e deve controllare Spotify per vedere quella che ha ascoltato di più: Until we leave the ground di Steve James. Non usa i social, ha una persona che li gestisce per lui. Se gli chiedi a quale architetto farebbe costruire la sua casa replica: «Non ho idea, perché è troppo presto per costruirne una, forse in 15 anni quando andrò a viverci sarà già vecchia». Il mondo degli adulti gli è per certi aspetti ancora straniero, ma ne è del tutto consapevole: quando gli chiediamo se segue la politica estera, replica «La politica? Si, ovviamente le cose importanti sì, parliamo anche con il team che ho, sono tutte persone adulte, però non i dettagli. Ne capisco anche poco».
Come sta, dopo Cincinnati? Si è ripreso?
«Sto bene, oggi è il primo giorno dove sto di nuovo bene. Dove tutte le cose vanno bene. Abbiamo fatto qua due allenamenti tra oggi e ieri, quindi sta andando tutto verso la direzione giusta».
Cosa pensa del dibattito di questi giorni sul circuito sovraffollato di tornei? Si gioca troppo in condizioni proibitive?
«A parte che non è facile perché ci saranno delle dinamiche dietro, che noi non sappiamo... ci sono dei giocatori che non son d’accordo, c’è sempre qualcosa, non puoi mai essere perfetto. Sai il torneo è quello lì, alla fine è una nostra scelta, come dico sempre, se vogliamo giocare o non vogliamo giocare».
In campo lei indossa ancora sul braccio destro il manicotto che aveva iniziato a portare a Wimbledon quando si fece male. Lo fa per precauzione o c’è altro?
«Mi è piaciuto il feeling che avevo quando è un pochettino più compatto il braccio, a Wimbledon. A Wimbledon però era per un’altra roba. Non è prevenzione, è proprio pura sensazione in campo».
Ci pensa mai: «Sono il numero uno...»?
«No, perché credo che sono sempre stato una persona umile e non mi piace dire “sono il numero uno al mondo”. Posso dire che sono un giocatore forte, però credo che si diventa numero uno non solo in campo da tennis ma per come gestisci le cose fuori dal campo, come ti comporti. Il tennis è importante, è la mia vita, ma è piccolo, non è tutto, e quando hai 35-40 anni il gioco finisce e poi devi anche decidere cosa fare dopo».
A volte la gente l’ha criticata, per esempio quando non ha rappresentato l’Italia alle Olimpiadi, il che però non incideva sul mantenere lo status di numero 1. Che cosa dice a questi critici?
«Non ho mai risposto e non voglio neanche rispondere».
Come si prepara a ogni match? Come studia l’avversario? Guarda le statistiche? Guarda video?
«Guardo tanto, analizzo tanto, soprattutto la sera prima di giocare contro un avversario, perché la parte visuale è molto importante, almeno per me».
Durante il match fa tattica con il coach?
«Normalmente prepariamo tutto prima della partita, abbiamo tante opzioni. Poi magari lui a volte ti dice delle cose, però io che sono in campo non me le sento, perché magari quel giorno certi colpi non li sento, e quindi non li uso. Alla fine la soluzione deve sempre trovarla il giocatore».
Quali parti del suo gioco vorrebbe migliorare?
«Il servizio e il gioco a rete».
Tutti ammirano la forza mentale che le ha permesso di vincere Wimbledon dopo lo spettro della finale di Roland Garros persa nonostante i match points. Che cosa l’aiuta a trovare un atteggiamento positivo? Ci sono delle tecniche? Quanto lavora con lo psicologo? Oppure è puramente naturale?
«Non è nulla di naturale, c’è tanto lavoro dietro, ma prima devi accettare i tuoi difetti e io all’inizio ho fatto fatica, perché pensavo di essere forte, e invece non lo ero. E ci abbiamo lavorato tanto sopra, con Riccardo Ceccarelli, stiamo lavorando già da anni insieme, mi aiuta. Ovviamente la differenza deve farla l’atleta, ma c’è tanto lavoro dietro».
Quali difetti?
«Non essere paziente, voler fare subito tutto in uno. E invece non è questa la soluzione: devi sempre lavorare da un dettaglio all’altro e poi mettere pian piano insieme tutti i pezzi del puzzle».
Lei ha detto che augura a tutti i genitori che ha avuto lei. Perché?
«Sono sempre stati dei genitori molto normali, lavoratori: andavano sempre a lavorare e mi hanno lasciato giocare a tennis come volevo».
Come parlavate a casa? Tedesco o italiano?
«Tedesco, ma è un dialetto. Un dialetto tedesco sudtirolese, un po’ simile all’austriaco».
Se ne è andato da casa a 13 anni. È stato difficile?
«Per me è stato difficile all’inizio, ma ho avuto molta fortuna. Sono stato ospite di una famiglia croata: il papà della famiglia era l’allenatore del centro dove mi allenavo e aveva una figlia e un figlio».
Com’è stato vivere con loro?
«Ero un po’ più grande e abbiamo vissuto insieme per due anni. Mi sentivo parte della famiglia e come un fratello maggiore. A casa ho un fratello grande e so esattamente come ci si sente. Volevo essere la stessa persona per la figlia e il figlio di quella famiglia. Avevano anche un cane: io amo i cani, a casa avevamo solo gatti, quindi giocare con loro mi ha aiutato molto».
Qual è il piatto dell’infanzia che si ricorda particolarmente e che voleva quando tornava a casa?
«Mangiavo spesso a pranzo dai nonni perché i miei genitori erano sempre al lavoro. Direi la Wienerschnitzel di mia nonna, molto buona. Da mio papà invece ricordo i canederli, o i dolci, come i buchteln».
Può mangiare queste cose ora che è un atleta d’élite?
«No… Non tutti i giorni. Quando sono a casa, due o tre giorni in Alto Adige ogni quattro mesi, circa dieci giorni all’anno. In quei giorni non ci sono restrizioni e me li godo appieno».
Da poco ha scoperto la passione per il mare, è stato in Sardegna. Fa immersioni?
«Faccio snorkeling, ma non immersioni. Se sono vicino alla costa non c’è problema ma se sono nel mezzo del nulla ho un po’ paura».
È innamorato?
«Sì ma della vita privata non parliamo».
@font-face {font-family:"Cambria Math”; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Calibri; panose-1:2 15 5 2 2 2 4 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:swiss; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859905 -1073732485 9 0 511 0;}@font-face {font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; panose-1:2 2 6 3 5 4 5 2 3 4; mso-font-alt:"Times New Roman”; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859921 -1073711039 9 0 511 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:"”; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:30.0pt; mso-bidi-font-size:12.0pt; font-family:"Times New Roman”,serif; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; mso-fareast-language:EN-US;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; font-size:30.0pt; mso-ansi-font-size:30.0pt; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; mso-fareast-language:EN-US;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}