Corriere della Sera, 23 agosto 2025
Biografia di Veronica Berti Bocelli
Veronica Berti Bocelli, 44 anni, manager, filantropa e vice presidente della ABF Foundation. Moglie di Andrea e madre di Virginia. Il suo primo ricordo?
«I miei genitori che cantano insieme: li ho visti farlo fino ai 10 anni, poi si sono separati. E hanno continuato a farlo!».
Cantavano dove?
«In casa: abbiamo sempre avuto ospiti. Era un luogo aperto, dove passavano persone di nazionalità diverse».
Cadenza toscana, ma origine marchigiana.
«Sono cresciuta in campagna, nelle Marche, a Offagna. Una dimensione cercata: i miei avevano voluto farmi vivere nella natura. Così sono cresciuta in mezzo a conigli e agnelli: fino all’ età di 5 anni non ho mangiato altre verdure che quelle dell’orto di casa».
Che professione facevano i suoi genitori?
«Mio papà era un insegnante di matematica, mia mamma si è trasferita a Milano per fare la manager. Erano dilettanti della campagna. Un contadino sa cosa fare, da noi era pura improvvisazione: i polli covano le oche e cose così».
La separazione dei suoi.
«Mio padre si è sposato in seconde nozze con un’amica di famiglia: la mia migliore amica è diventata mia sorella. Una famiglia allargata, migliore di quelle che vedo oggi».
Che studi ha fatto?
«Diploma di maturità scientifica: non ero un genio, ma sufficientemente studiosa».
Suo padre le faceva ripetizioni?
«Non ce ne era bisogno. Quelle rare volte che succedeva si concludeva con pianti, strepiti e mio padre che imprecava: “perché mi sei capitata tu”. In realtà non ho mai dato un pensiero a casa».
Si è laureata?
«Volevano che facessi Ingegneria: siamo arrivati a a un compromesso e mi sono iscritta a Biologia. Ma quando ho conosciuto Andrea mi sono trasferita a Lettere: mio padre andava a lezione al posto mio a prendere appunti. Da professore si è trasformato in studente. Io ero sempre via».
L’incontro con Bocelli.
«Ad una festa dove non volevo andare. Mi ricordo la disorganizzazione: mi annoiavo e mi sono offerta di dare un aiuto. Per ringraziarmi mi hanno detto: “Ora le presentiamo il Maestro”. Ho provato a dire che non c’era bisogno. Con Andrea stiamo insieme da quel giorno».
La prima cosa che vi siete detti.
«Maestro è un onore conoscerla”. E lui: “perché mi dà del lei?».
Chi ha fatto la prima mossa?
«Andrea mi ha sfidato sull’Opera: era difficile cogliermi impreparata. Ci siamo seduti al pianoforte e l’ho stupito: lui suonava e io le azzeccavo tutte».
Quanti anni aveva?
«Io 21, lui 44. E voleva andare in pensione».
Ma non c’è andato.
«No e me ne prendo il merito. Il giorno dopo quella festa è venuto a cercarmi fuori dall’Università di Macerata: tutti che dicevano “c’è Bocelli”. Era lì per me».
Cosa le ha detto?
«Domani parto per gli Stati Uniti: vieni via con me».
Lei cosa ha risposto?
«Una frase che rimpiango molto di aver detto (ride, ndr):”vengo se posso essere utile”.».
Quanto è stata utile?
«Ho affiancato Andrea nella sua evoluzione professionale: l’ho conosciuto che era già una star internazionale, ma voleva smettere di lavorare. Era stanco, voleva andare in pensione. E così ha fatto: ha fermato tutti i concerti per sei mesi. “Ora che ti ho conosciuto, non ho più bisogno di niente”, mi confidò».
Come gli ha fatto cambiare idea?
«Gli ho detto: “Dato che sei credente sappi che stai buttando via il talento che ti ha dato Dio”. Gli ho ricordato la parabola dei talenti: Dio non se la prende con chi non ce l’ha, ma con chi lo spreca».
L’ha convinto a ripartire.
«Sua mamma mi scrisse un foglio che tengo in camera: “Grazie per aver riportato il sole nel cuore di mio figlio”».
Oggi Bocelli rappresenta l’Italia nel mondo.
«L’Italia lo ama, ma forse non si rende conto di quanto rappresenti il Paese. Se anche un bambino si gira e dice”Andrea Bocelli”, hai raggiunto la lingua universale del cuore».
Lei è vice presidente della ABF Foundation.
«Andrea è un uomo del sì e ha aperto le porte a tutte le realtà che chiedevano aiuto. La Fondazione è nata per incanalare le forze e rendere tutto trasparente. È un gran lavoro ma mi dà molta soddisfazione sapere che hai dato la possibilità a una vita di sbocciare o a un talento di crescere».
Che madre è?
«Non sono una apprensiva, il mammo è mio marito: come suo padre Virginia ha avuto in dono il talento della voce».
Che valore aggiunto ha portato la maternità?
«Non sono una politically correct e dico che non ha fatto una grande differenza perché l’amore è amore: ho avuto l’onore di trovare un marito che aveva due figli. E giuro che ce l’ho messa tutta ad essere un buon punto di riferimento per loro. Quando mi dicevano”con tua figlia naturale sarà diverso” sbagliavano: sono stata una madre identica per tutti. A me piacciono le persone: vorrei incontrare da sconosciuta mia figlia e pensare che è un’anima bella».
Le insegna l’empowerment?
«La parità di genere è sacrosanta, ma quando sento parlare di quote rosa mi vergogno: vorrei essere scelta perché sono la migliore e non la migliore tra le femmine».
Il complimento più bello.
«Mio marito e i miei figli mi hanno considerata a lungo la persona che poteva risolvere qualsiasi problema. Mio padre mi ha sempre detto: nella vita scegli se stare dalla parte di quelli che creano problemi o di quelli che li risolvono».
Una bella responsabilità.
«Nel tempo ho pagato questa cosa perché facendo sembrare a tutti che era facile, il messaggio era che Veronica ci riusciva sempre».
Veronica Berti o Bocelli?
«Dipende dal contesto: a volte scambiando il numero con altri dico Bocelli per praticità. E non mi sento annullata per questo».
Dove ha imparato a parlare l’inglese fluente?
«Sopravvivenza. Ma non lo parlo bene: a 9 mesi mia figlia mi ha ripreso mentre le cambiavo il pannolino, perché avevo detto male house».
Le sue amiche.
«Chantal e Aurora. Poi Laura che lavora in Fondazione e Sarah Ferguson».
La Duchessa di York?
«Non ci sentiamo tutti i giorni, ma se mi serve un consiglio intelligente le scrivo».
Essere bella è stato più un peso o un vantaggio?
«Bella no, forse appariscente: ho delle gambe niente male prese da mia madre. Non sono mai stata così bella da non essere presa sul serio».
Un suo difetto.
«Non voglio mai vedere nero: se si chiama problema vuol dire che c’è una soluzione e allora devi trovarla. Se non c’è una soluzione è un dato di fatto quindi è inutile che te la pigli. Per questo in ufficio mi circondo di persone che non la vedono così in rosa».
Sensi di colpa per essere una working mum?
«Ogni sera mi ripeto che devo dedicare tempo di qualità a mia figlia: non so giocare e l’ho sempre trattata da grande. Non me ne faccio un vanto».
Ha mai ricevuto un premio?
«Non personalmente. Sempre insieme ad Andrea o alla Fondazione: ed è giusto, il nostro è un lavoro comune».
Le piacerebbe avere un incarico istituzionale?
«In questo momento sì. Fino adesso non l’avrei mai considerato, ma stimo molto Giorgia Meloni. Viaggio all’estero e vedo che la sua credibilità è alta».
Trump.
«Lo conosco da 24 anni, è un grande appassionato della musica e di Andrea. Da Presidente dovrebbe pesare bene le parole».
Alcuni cantanti si sono rifiutati di esibirsi per lui.
«La morte della democrazia: un cantante che si rifiuta di cantare per motivi politici ha tutta la mia comprensione. Ma chi lo fa per paura di inimicarsi l’intellighentia...».
È credente?
«Sì. La mia famiglia non lo era: mi sono battezzata da sola, da grande, con mio padre che diceva: “Con tutte le delusioni che mi potevi dare questa è la peggiore”. Ora abbiamo entrambi cambiato idea».
Crede nell’Aldilà?
«Puoi chiamarlo Aldilà o Caos, ma se credi alle forze del male devi credere al bene».
Un ricordo tra tutti.
«L’esibizione davanti alla Regina Elisabetta con il cronometro puntato: in nove ore dovevamo spostarci da Londra a New York dove Andrea avrebbe cantato ai Grammy. Mi sono levata la gonna lungo i corridoi del Palazzo, ho infilato le scarpe da tennis, ho vestito Andrea, siamo saliti su un elicottero che ci aspettava sul tetto e ci ha portati al nostro aereo. Quella volta ho pensato: sono la moglie di James Bond».