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 2025  agosto 23 Sabato calendario

L’invasione della Maddalena Per gli yacht in zone vietate sanzioni non oltre i 51 euro


«Spiaggia sabbiosa, selvaggia e incontaminata». Sì, ciao. Trent’anni fa, forse. O in pieno inverno. Basta una foto postata tre giorni fa della cala Bassa Trinita per masticare amaro sulla citazione di TripAdvisor: un tappeto fitto fitto di decine di tende, sdrai e ombrelloni ammucchiati fino all’inverosimile in pochi metri di battigia. Un chiassoso alveare. Con l’aggravante della nota finale: «Acqua cristallina ma contaminata da forte vento e posidonia». Ma come: è la posidonia che «contamina»?
Centomila euro di multa, ha rifilato un giudice francese, a giugno, agli armatori di un catamarano che aveva gettato l’ancora sulla prateria sottomarina davanti alle isole Riou e Plane nel Parc National des Calanques: 50 mila di sanzione, 49 mila di risarcimento alla riserva naturale più indennizzi vari ad associazioni ambientaliste. «Ce l’avevano chiesto i turisti a bordo», hanno balbettato gli imputati incastrati dal Gps e ora esclusi dall’elenco degli operatori autorizzati. Peggio ancora. «La posidonia, infatti, svolge un ruolo chiave nella stabilizzazione dei fondali, nella produzione di ossigeno e nella protezione della biodiversità marina», ha scritto solovela.net, «Ogni danno causato da ancoraggi inappropriati in queste aree può risultare devastante e irreversibile nel lungo periodo». Rileggiamo: irreversibile.
Fossero stati beccati alla Maddalena? «Avrebbero pagato, temo, solo 51 euro», sospira Giulio Plastina, direttore del Parco Nazionale istituito 31 anni fa ma mai dotato degli strumenti necessari per operare sul serio: «Il divieto di gettare l’ancora sulla prateria di posidonia c’è ma quando l’Italia fece sue le direttive comunitarie, non pensò al regime sanzionatorio...» Risultato: chi fa il furbo rischia otto volte meno della multa massima per sosta vietata di un’auto.
Ma si può trattare così un paradiso terrestre? Le immagini di questi giorni, quelle centinaia di motoscafi, gommoni e panfili appiccicati l’uno l’altro nelle «piscine naturali» di Cala Coticcio, Cala Corsara o Cala Spalmatore (dove è stato avvistato lo yacht «La pausa» di Daniela Santanchè e Ignazio La Russa e dove giacciono preziosi resti archeologici) tolgono il fiato. E così quelle dei bagnanti scaricati a frotte ogni giorno dai barconi turistici sulle spiagge più a rischio come quella di Santa Maria, a dispetto dei limiti messi nel ‘19 dal Piano Utilizzo Litorali del Comune. Limiti violati così brutalmente sulla Spiaggia del Cavaliere di Budelli da spingere nel ‘22 al totale divieto di calpestio «essendosi ridotta di circa la metà per l’asportazione di considerevoli quantità di sabbia». Uno stupro che già aveva costretto il parco a chiudere l’accesso alla celebre «Spiaggia Rosa».
«Sono avvelenata», tuona Rosanna Giudice, l’ex sindaco de La Maddalena nominata da poco presidente del parco dopo una spossante vacatio: «Questo turismo implosivo, fastidioso e ingestibile a terra e a mare non può essere più consentito. Non così. Lo dico per i cittadini dell’arcipelago e per tutti gli italiani. Troppo, troppo! Io rappresento il Ministero dell’Ambiente: che devo fare? Quando si è malati bisogna tagliare. Per salvare il resto, bisogna tagliare. Ecco il punto». Vale per l’isola centrale, vale per quelle minori («Sono appena andata a Santa Maria: un formicaio. Non c’è più la spiaggia che conoscevo. Abbiate pazienza: si vede la terra, la roccia con le radici dei ginepri che emergono dalla sabbia. Da brividi: quello che perdiamo come sabbia non lo recuperiamo più. Ho detto: portatemi via sennò affogo qualcuno»), vale per Caprera: «Sette o ottocento auto al giorno. Senza vie di fuga in caso d’incendio. Come si fa? Non voglio far la parte del giustiziere della notte e dare un colpo di mannaia, ma una svolta è indispensabile».
Ma come, se l’immenso parco nazionale (5.100 ettari di isole e isolotti più 15.046 di superficie marina con 180 km di coste dalle Bocche di Bonifacio all’isola di Mortorio a protezione integrale, con sessantatré specie di animali protette (dal Gabbiano Corso alla Moretta tabaccata o al Falco di palude) non ha mai potuto contare, anche dopo la delusione e lo scandalo per il mancato G8, su quanto è assolutamente indispensabile perché una riserva naturale funzioni? Se i suoi dipendenti, un manipolo di volenterosi, possono solo accompagnare i visitatori e segnalare alla Capitaneria di Porto o ai Forestali (peraltro troppo impegnati sul fronte manutenzione e incendi per uscire di pattuglia in mare) le violazioni più insultanti delle regole ma non possono neppure multare i più sfacciati nemici dell’ambiente? Se la riserva deve fare i conti con una flottiglia di «30 mila imbarcazioni, natanti e navi da diporto che ogni anno frequentano l’area marina» quasi impossibili oggi da controllare?
Pochi dati: con un 37° degli abitanti italiani, la Sardegna ha un nono dei posti barca nazionali. E di questi il 47% è in Gallura, che pure rappresenta solo un quinto (scarso) della regione e un sesto delle coste. Una concentrazione fortunata indice di benessere, dirà qualcuno. Ma è davvero così? «Abbiamo in cassa 20 milioni di euro, pronti per essere spesi, ma siamo paralizzati dall’assenza di ogni autonomia gestionale, dalla impossibilità di assumere, dall’obbligo di ricorrere a convenzioni che ci costano il 40% di più, dalla mancanza di un Cda che deve essere insediato e non si insedia – si sfoga Giulio Plastina – È incredibile ma non possiamo fare nulla. Mentre insistono interessi del turismo nautico che sono pazzeschi. Ogni anno arrivano decine di barche, di catamarani, di imprese che investono milioni e milioni di euro e io inizio a farmi una domanda: ma da dove arrivano tutte queste società? E noi qui, con la fionda contro i titani... Moscerini, ecco cosa siamo. E ci vogliono così. Il sistema ci vuole così. Non dobbiamo dare fastidio, non dobbiamo metterci di traverso...».
Un dettaglio dice tutto: l’evasione da parte dei proprietari di barche dell’obbligo di pagare, anche on-line, l’accesso nelle acque dello stupendo arcipelago (un gommone di 5 metri paga intorno ai 10 euro al giorno, uno yacht di 30 sui 400) viene stimata dalle stesse autorità del parco tra il 30 e il 35%. Con una falla nelle casse del parco superiore ai 700 mila euro l’anno. Eppure con metà di quei soldi e con regole diverse potrebbero essere assunti decine di ragazzi in grado di far rispettare davvero le norme. E dare al Parco, a chi lavora col turismo (e sono tanti) nel modo più corretto e più ancora ai turisti stessi un futuro vero. Rispettoso dei diritti, dei sogni, degli interessi di tutti. A partire, ovvio, dall’ambiente.