la Repubblica, 22 agosto 2025
Teresa e Luigi, fine di un amore e della rivoluzione
«Un mattino, appena entrata nel mio ufficio, mi accorsi che doveva essere successo qualcosa. I compagni evitavano di guardarmi in faccia e abbassavano la testa». Finisce così l’amore fra Teresa Noce e Luigi Longo, in un giorno qualunque, con la notizia di un matrimonio annullato all’estero, affidata alle pagine del Corriere della Sera. Anche gli eroici partigiani, possono essere uomini comuni, pronti a scartare la compagna di una vita per una ragazza più giovane. E poi nell’Italia del 1953 l’ipocrisia dei benpensanti moderati impone alle donne il sacro dovere di sopportare in silenzio corna e maltrattamenti; di consacrarsi a un uomo come una sorta di vice madre accudente, quando si smette di essere l’oggetto dei desideri maschili. La morale comunista intima di soffocare gli scandali nel privato, come si scomoda a scrivere Palmiro Togliatti in persona.
Una lettera durissima la sua (oggi conservata nell’archivio della Fondazione Gramsci): in caso di unioni infelici, «di fatto già spezzate», se un compagno chiede «una rottura necessaria» si deve acconsentire. Teresa però la ribellione ce l’ha nel sangue e quel trauma, «più grave e doloroso del carcere», lo vuole urlare a chiare lettere. Nata in una povera famiglia della Torino operaia il 29 luglio 1900 (lo stesso giorno del regicidio di Umberto I), Noce è ribelle per destino e vocazione: il padre l’abbandona a morire di fame con la madre e il fratello e per sopravvivere è costretta a lavorare come sarta, all’età di 11 anni. Una «gioventù senza sole» – come poi intitolerà un suo libro – che non le impedisce di studiare da autodidatta.
Luigi lo conosce nel 1919 a una riunione del circolo giovanile del Partito socialista italiano. È uno studente d’ingegneria e la sua buona famiglia certo non sogna le nozze con una ragazza «brutta povera e comunista». Teresa e Luigi aspettano così due anni prima di sposarsi, anche se nel frattempo nascono due bambini. Luigi Libero, il primo figlio, viene al mondo nel 1923 quando il padre, schedato dalla polizia politica dell’Ovra, è rinchiuso nel carcere di San Vittore. Ma Teresa sposa tutto del suo uomo, anche l’essere «sovversivo, sorvegliato speciale». E in nome della rivoluzione per una patria libera, si fa la galera incinta, finché non viene rilasciata per insufficienza di prove, poco prima del parto. Poi la prima tragedia, quando Pier Giuseppe, il secondogenito, muore neonato di meningite.
Perseguitati dal fascismo e costretti all’illegalità, nel 1926 Teresa e Luigi prendono la via dell’esilio, prima in Unione Sovietica, poi a Parigi. All’inizio degli anni Trenta, con lo smantellamento delle strutture operative del Partito comunista, il Centro interno italiano antifascista impone ai militanti le ferree regole della clandestinità. Camuffare la propria identità, per facilitare lo scambio d’informazioni e ostacolare il riconoscimento in caso di arresto, è il primo passo per sopravvivere braccati dalla polizia fascista. Teresa diventa cosìEstella: un nome esotico, quasi da diva del cinema, suggerito dallo stesso Togliatti, che però lei non sopporta. Forse perché evoca una ragazza giovane e bella, cosa che non sarà mai.
Nella sua “guerra dentro” si agita una doppia anima sofferente, oppressa ma decisa a combattere e a spronare alla lotta chi è rimasto sotto il tallone di regime. Passando per Marsiglia e Nizza varca la frontiera e raggiunge l’Italia per organizzare lo sciopero delle mondine e delle operaie nei cotonifici di Pordenone. Sarà la Spagna repubblicana il suo battesimo del fuoco. Con mezzi di fortuna e pochi soldi in tasca inizia così la rivolta nella «trincea avanzata della lotta antifascista». Mettere in piedi centri di addestramento per i combattenti di una guerra irregolare, insegnare come usare gli esplosivi, studiare la topografia in maniera maniacale per addentrarsi in un territorio che il nemico conosce. Sono i comunisti delle Brigate Garibaldi di Luigi Longo (il leggendario comandante “Gallo”, nel dopoguerra salito nella gerarchia del Pci fino a diventarne segretario nel 1964) a organizzare i volontari provenienti da tutto il mondo. Anche Estella si batte col popolo spagnolo, organizzando ospedali da campo, smistando donne e uomini che dovranno combattere a Barcellona e Valencia, fino al punto di recuperare per loro sigarette di contrabbando, cibo, persino panettoni per festeggiare il Natale. Ma i combattenti, «figli di patrie diverse» vanno anche educati. E per incitare gli antifranchisti a «resistere, vincere», c’è bisogno di giornali come Il Volontario della libertà eIl Garibaldino.
La pericolosa “propagandista comunista” come la definisce il casellario politico centrale, amica della pasionaria Dolores Ibárruri, vive però un dramma privato che anni dopo affiderà alle pagine di un diario. Resistere significa fare scelte dolorose e difficili, anche a costo di allontanarsi da un figlio. Giuseppe, il bambino più piccolo di Teresa, detto Putisc, non ha nemmeno sette anni e non capisce «perché papà che era comunista e perciò contro la guerra, faceva la guerra in Spagna». Nel febbraio 1939 il fronte catalano cade, con la sconfitta delle Brigate internazionali, e i combattenti antifascisti si trasformano in reduci che nessuno vuole più accogliere. Neppure le autorità francesi, che ormai considerano gli italiani semplicemente dei fascisti. È l’inferno del lager di Ravensbruck Furstenberg/Havel a insegnare a Teresa cosa significhi essere schiava in una fabbrica del Reich. «Digiune, tremanti dal freddo e d’umidità, cerchiamo un po’ di calore addossandoci le une alle altre, vincendo il naturale ribrezzo verso corpi spesso non più giovani, afflosciati, deturpati dalle piaghe».
Sarà ricordando le sue compagne di prigionia che Teresa troverà le parole, anni dopo, per spronare le ragazze italiane a non aspettare «più il Principe azzurro che venga a liberarle dalla miseria e dai tormenti». Lei, tra le sole 21 donne elette all’Assemblea costituente, colei che ebbe l’idea dei “treni dei bambini”, sperava che imparassero a dire no, per «affermare la propria personalità e sottrarsi alla condizione di appendice dell’uomo». Un vademecum per sopravvivere alla guerra, al dopoguerra e alle delusioni di un amore fallito.