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 2025  agosto 22 Venerdì calendario

Intervista a Jerry Calà

Poltu Quatu, Costa Smeralda, Sardegna. Si avvicinano all’ombrellone a chiedergli un selfie. Jerry Calà, se deve andare...
«Ma no, è solo una foto. È la trentesima di oggi, ma è la mia gioia. Grazie a Dio ancora me le chiedono. Che poi è un caso che sia qui, oggi. Le mie vacanze sono da “gommonauta”, non da spiaggia, solo che oggi c’era il mare grosso».
Dodici agosto. Tappa all’Anema e Core di Capri, sul palco con Gianluigi Lembo. Nelle foto alla Taverna c’è anche Matteo Renzi.
«È una delle mie tappe estive, ho fatto Puglia, Marche, Toscana, in tournée fra piazze e locali. Renzi lo conosco da quando era sindaco. Veniva alla Capannina, ricordo le nostre chiacchierate nel retro. Nel backstage puoi trovare chiunque, anche i politici».
Ma che c’azzecca la politica con il vostro lavoro?
«Per me niente. Io l’ho sempre evitata, anche se qualcuno prova a collocarmi politicamente. La seguo ma evito di espormi, di coltivare rapporti con secondi fini».
E i suoi colleghi?
«Non lo so. Diciamo così».
Nemmeno un amico in politica?
«Amici sì: Luca Zaia. Io vivo a Verona e sono dispiaciuto che sia a fine corsa da Presidente del Veneto. Per lui, se ci fosse, sarei favorevole anche al quarto mandato...».
Cosa le dice chi la ferma per strada?
«Chiedono quasi tutti le foto. Qualcuno va oltre: “Signor Jerry, io sono cresciuto con i suoi film”. Li contraddico solo quando mi dicono che sono il numero uno. Non è vero».
E chi è il numero uno?
«Luca Medici, Zalone, ovvio. Non lo senti mai, poi ogni tanto fa un film e dici: “Ok, sta bene”. Ah, alcuni mi chiedono anche di ripetere le mie battute storiche, ma mica solo per strada. È successo anche in sala operatoria...».
Cioè?
«Quando mi hanno ricoverato d’urgenza per un infarto nel 2023, mentre giravo un film a Napoli, i chirurghi che mi stavano impiantando gli stent, mentre armeggiavano con il bisturi mi dissero: “Jerry, noi siamo suoi fan, ma ce lo farebbe un Libidine”? E giù a ridere».
Ha visto che strana estate? Si parla di caro ombrelloni, dei bagnini che protestano, di spiagge semi vuote. Che sta succedendo?
«Non ho visto il deserto nelle spiagge, ma c’è sicuramente un tema legato ai prezzi. Alcuni stabilimenti sono impeccabili, altri non all’altezza. È capitato anche a me che mi chiedessero cifre folli per lettini e ombrellone appiccicati tra loro. Questo non va bene».
«Sapore di mare», 1983. La famiglia Pinardi, da Napoli, arriva a Forte dei Marmi nell’hotel prenotato a gennaio. Altra Italia?
«È cambiato molto. Le ferie di venti giorni o di un mese sono morte. Oggi durano al massimo una settimana, dieci giorni, perché ci si può permettere questo. Mi sembra che abbia ragione chi ieri, in un bar qui in Sardegna, scandiva quella frase che è ormai uno scioglilingua: “Quest’anno manca il ceto medio...”. Fino a qualche anno fa al mare si vedevano barche di ogni tipo. Oggi o trovi il piccolo gommone o lo yacht. È un mondo diverso».
Insomma, quei film cult raccontano un’estate che non c’è più?
«Paradossalmente qualcosa è rimasto. Prendi i figli di papà, quelli mica si sono estinti. Qui in Sardegna vedo giovanissimi girare di giorno su suv enormi, la sera li ritrovo nei locali a ordinare bottiglie di vodka più alte di loro, giusto per farsi vedere. Come se contasse solo apparire, mostrarsi, altro che relax».
Dai, anche la sua generazione aveva i suoi vizi.
«Sì, ma li coltivava in modo diverso. La mia prima volta in Costa Smeralda, nel ‘72, non c’era niente. Per noi lo “chic” era andare in giro con la Mehari, scendere in spiaggia con le scarpe in mano e la torcia per scoprire locali. La vacanza era quello: semplicità, cazzeggio, le chiacchiere, gli incontri, l’innamorarsi».
È finita la libidine?
«C’è ancora ma non è più quella che intendo io. I giovani oggi hanno più libidine per i tavoloni e le bottiglie piuttosto che per le ragazze».
Beh, ma gli amori estivi tra ragazzi sono la cosa più longeva al mondo...
«Ma quali amori estivi? Li ha visti? Girano in gruppi chiusi: da una parte il gruppone dei maschi, dall’altra quello delle ragazze. Escono di casa a mezzanotte e tornano alle 6. Secondo lei poi fanno l’amore?».
Se ripensa ai suoi, di vent’anni, cosa vede?
«Io, Umberto Smaila, Franco Oppini e Nini Salerno nella cucina di casa nostra a Milano, in via Venini: vivevamo insieme. Ogni giorno era un via vai, passavano Teocoli, Abatantuono, Tozzi, Ivan Graziani. E spesso arrivava anche Maurizio Costanzo, che si metteva in cucina e ci aiutava a preparare gli spettacoli. Format semplice: ognuno sparava le cazzate che gli venivano in mente e le più belle finivano sul copione. Quando eravamo soddisfatti scendevamo al bar, dove Costanzo e Smaila facevano a gara a chi mangiava più krapfen di fila».
Lavora ancora tanto?
«Tantissimo. Cento spettacoli l’anno. Se proprio dovessi esprimere un desiderio, mi piacerebbe lavorare di più nel cinema. Intanto mi godo questi mesi di lavoro su un nuovo film. Voglio fare satira sul politicamente corretto. Gireremo nella primavera del 2026».
Quel politicamente corretto che, come ha detto Verdone, ha fatto sì che nella commedia non si possa più dire nulla?
«Il danno principale è questo: limitare la commedia è un freno a mano che obbliga a scrivere copioni di serie B. Detto ciò, forse ai nostri tempi si è esagerato...».
In che senso?
«Beh, non avevamo freni nel linguaggio. Pensi alla mia scena di “Vacanze in America”, quando vado a trovare lo “schiantatope”...».
Intende che non la rifarebbe?
«Intendo che non me la farebbero più fare».
Ci sono stati momenti in cui i suoi film erano primi al cinema. Come ha gestito il guadagno, la notorietà?
«Ho rischiato di sbandare. Ma devo tutto a una persona che mi ha tenuto con i piedi per terra: Mara Venier».
Mara Venier, sua ex moglie, che però ha detto: «Jerry era molto birichino». A proposito, ma quella storia che alla vostra festa di matrimonio, mentre cantava Renato Zero, lei è sparito e Mara l’ha pizzicato nei bagni con un’altra?
«Lei esagera sempre un po’, diciamo che io e l’altra stavamo parlando fitti fitti, quando ci ha sorpreso. In ogni caso con Mara siamo riusciti a trasformare un divorzio in un’amicizia. E non finirò mai di ringraziarla».
L’estate più rocambolesca?
«A Cesenatico. Avevo vent’anni, conobbi una signora svizzera bellissima, che però di anni ne aveva quaranta, nacque l’amore ma non poteva durare. Dopo l’estate si presentò a casa mia a Milano con un anello, andai in crisi. Riuscii a troncare, lei se ne andò. Preso dal panico, dopo dieci minuti buttai l’anello dalla finestra ma feci male i calcoli e l’anello piovve su di lei che era rimasta lì. Appollaiati alle finestre c’erano gli altri dei Gatti di Vicolo Miracoli che sogghignavano. Mi sarei sotterrato».
In un weekend a Capalbio conobbe De Niro.
«Mi invitarono in un casale con Mara, alla cena lui era con Joe Pesci. Non parlò con nessuno, la mattina dopo a colazione, sforzandosi in italiano, mi disse che era diretto a Roma per girare con Sergio Leone. Lo invitai a una mia serata romana, poi smisi di pensarci. Quella sera mi raggiunse il buttafuori: “Senta, Calà, c’è un vecchietto qui fuori, un po’ messo male, che dice che vuole entrare perché l’ha invitato lei”. Era Robert De Niro, arrivato dal set di “C’era una volta in America”. Aveva appena interpretato Noodles Aaronson settantenne. Gli avevano lasciato il trucco».
I momenti d’estate di cui ha più nostalgia?
«I pomeriggi in spiaggia con Dario Fo, Gino Bramieri, Walter Chiari, Lina Volonghi».
Stasera dove va?
«Al Pevero, a Porto Cervo. Ma resto finché non diventa discoteca. Ci vado solo a mangiare. Quando comincia “Tum, tum, tum” è ora di andare a letto».