Corriere della Sera, 22 agosto 2025
Bolsonaro e il piano (fallito) per fuggire in Argentina
L’alleanza internazionale di destra, almeno in America, mostra i primi scricchiolii. L’ex premier brasiliano Jair Bolsonaro, sotto processo per tentato golpe, pur di evitare l’arresto avrebbe progettato di fuggire in Argentina, chiedendo asilo politico al presidente Javier Milei. Il piano non è andato in porto, perché il paladino della moto-sega avrebbe potuto rispedirlo in patria, nonostante le affinità ideologiche.
È la conclusione cui sono giunti i media brasiliani dopo che la Polizia federale, mercoledì scorso, ha divulgato i messaggi e i file contenuti nel cellulare dell’ex presidente, incriminandolo assieme al figlio Eduardo, a sua volta molto vicino al clan familiare di Donald Trump, con l’accusa di «ostruzione alla giustizia». La sentenza sul presunto golpe, che coinvolge Bolsonaro e diversi alleati accusati di aver diretto un’associazione criminale per ribaltare il risultato delle elezioni del 2022, vinte dall’attuale presidente Luiz Inácio Lula da Silva, sarà emessa da un collegio di cinque giudici della Corte Suprema a settembre.
Tra i file scoperti nel cellulare di Bolsonaro c’è una lettera indirizzata a Milei, salvata il 10 febbraio 2024, due giorni dopo l’avvio delle indagini sul complotto. Dopo una lunga citazione biblica, va al dunque: «Io, Jair Messias Bolsonaro, chiedo a Sua Eccellenza [Milei] asilo politico nella Repubblica Argentina, con urgenza, perché mi trovo in una situazione di persecuzione politica in Brasile, perché temo per la mia vita... nonché perché sono sul punto di vedere il mio arresto decretato, in modo ingiusto, illegale, arbitrario e incostituzionale».
È la conferma che Bolsonaro cercò disperatamente una via di fuga dal Brasile: subito dopo la sconfitta elettorale andò in Florida, dove si fermò ben oltre la scadenza del visto, mentre nel febbraio 2024, poco dopo il sequestro del passaporto, trascorse due giorni nascosto nell’ambasciata ungherese a Brasilia. Molti «bolsonaristi» coinvolti nelle violente proteste dell’8 gennaio 2023 attraversarono il confine con l’Argentina per evitare l’arresto, ma il governo di Buenos Aires li ha in gran parte rimpatriati, il che avrebbe forse convinto Bolsonaro a non andare nel Paese vicino. Il suo avvocato ieri ha confermato che a Bolsonaro era stato effettivamente consigliato di chiedere asilo in Argentina, ma «lui ha respinto l’idea». Lo stesso Milei, d’altronde, ha sempre negato un «patto di impunità» con l’ex presidente brasiliano, nonostante gli ottimi rapporti personali e l’affinità ideologica.
Nella memoria del cellulare di Bolsonaro, c’era anche un duro scambio fra padre e figlio in cui Eduardo insulta Jair: «Tu, fottuto bastardo ingrato», gli scrive. Ed emerge anche il potere dietro le quinte del pastore pentecostale Silas Malafaia, a capo di un impero religioso con un patrimonio netto stimato in 150 milioni di dollari: in un videomessaggio a Jair Bolsonaro minaccia di picchiare quell’«idiota di Eduardo». «Le conversazioni indicano che Malafaia agisce direttamente nella definizione delle azioni pianificate dal gruppo sotto inchiesta, che mira a contenere l’autorità giudiziaria della Corte Suprema», sostiene la polizia, che ieri gli ha sequestrato cellulare e passaporto. Sarebbe stato lui, ad esempio, a insistere per collegare i dazi record (50%) imposti da Trump al Brasile alla richiesta di amnistia per Bolsonaro.