Corriere della Sera, 22 agosto 2025
I costi dell’occupazione
un budget
da 8 miliardi
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Gerusalemme I messaggi con la convocazione alle basi hanno già raggiunto 60 mila israeliani, ad altri 20 mila è stato detto che il periodo nell’esercito è destinato a prolungarsi. Sono tutti riservisti: la parola fa pensare a soldati travasati sul campo di battaglia dalla panchina, in realtà rappresentano il 70 per cento delle forze armate e in questi 22 mesi di conflitto che non finisce sono stati i più impegnati nell’offensiva. In tempi normali dovevano prestare servizio per 45 giorni l’anno, la guerra perpetua voluta dal premier Benjamin Netanyahu ha spinto quel numero fino a 200 e la decisione di occupare la città di Gaza può solo farlo salire. Eyal Zamir, il capo di Stato Maggiore, ha avvertito che il rischio è spingere i riservisti a non accettare la chiamata: è considerata un dovere nella maggior parte della società israeliana, non è un obbligo. I rifiuti stanno crescendo per le ragioni politiche dei molti che vedono nella guerra ormai la mossa cinica di Netanyahu per restare al potere; la rabbia di quelli che non possono mandare giù l’esenzione per gli ultraortodossi; l’affanno del 41 per cento che ha perso l’impiego a causa dei periodi nell’esercito. I comandanti delle unità sono sempre più in difficoltà nel riempire i ranghi. Così – ha rivelato un’inchiesta del quotidiano Haaretz – improvvisano campagne di reclutamento via social media, saltando la burocrazia di Tsahal e in qualche caso anche schivando i regolamenti: riempire i posti vuoti con civili poco addestrati o senza verificare la fedina penale. Già in maggio il governo ha cercato di tappare le falle aumentando i benefici fiscali e gli incentivi per i riservisti, mentre l’operazione Carri di Gedeone 2 e l’ipotesi che le battaglie proseguano fino al 2026 ha costretto ad alzare le spese in bilancio per quest’anno di quasi 8 miliardi di euro, equivalenti all’1,5 per cento del Prodotto interno lordo.