Corriere della Sera, 22 agosto 2025
Il Leoncavallo è stato sgombrato
L’immagine dell’oggi è un plotone di poliziotti e carabinieri schierato alle nove del mattino a presidiare il quasi nulla: vuoto il palazzo, pacifiche e rassegnate le minime proteste, nessun militante a «resistere» all’esecuzione agostana dello sfratto. Con poliziotti e attivisti dai capelli grigi che quasi arrossiscono nel ricordare di essere stati presenti durante la guerriglia del 10 settembre di 31 anni fa in piazza Cavour, dopo il doppio sgombero della prima storica sede al Casoretto e quella provvisoria di via Salomone, con gli agenti costretti alla ritirata davanti alla reazione violentissima degli «autonomi». Altri tempi, sampietrini e manganelli.
Memorie di un Leoncavallo che non esisteva più da almeno vent’anni, diventato un mix innocuo tra un centro culturale e un circolo Arci.
Eppure l’ultimo atto del centro sociale occupato, con la sua storia iniziata 50 anni fa nell’ex deposito di via Leoncavallo, è molto più di un semplice sgombero. È, per la destra e il governo, lo «scalpo» di un simbolo che ha fatto del «Leonka» l’archetipo dei centri sociali e di un certo modo d’essere, nella sua declinazione spregiativa di «leoncavallini». E per la sinistra, anche se sempre meno rossa, il simbolo di un pezzo di identità che scompare. Un ultimo frammento di Novecento in una Milano passata dalle lotte operaie alla mecca dei capitali immobiliari. È solo così che si può comprendere la portata dello sgombero dell’area di via Watteau, nel quartiere di Greco, a nord di Milano, occupata dal ’94.
Per 133 volte i tentativi di esecuzione dello sfratto da parte dell’ufficiale giudiziario erano andati a vuoto. Per la resistenza degli occupanti, ormai sempre più fiaccati dall’età e dalla crisi di militanza dei giovani, ma anche perché la realtà del centro sociale era diventata una presenza tollerata, quasi ordinaria, anche per le istituzioni milanesi. Fino allo scorso novembre, quando il Viminale è stato condannato in appello dal Tribunale civile a risarcire 3 milioni di euro all’immobiliare L’orologio srl della famiglia Cabassi (il gruppo ha subito guadagnato il 4% in Borsa), proprietaria della ex cartiera di via Watteau, per i «reiterati» mancati sgomberi dal 2003 a oggi. Sentenza che ha poi portato il ministero dell’Interno a rivalersi sull’associazione delle Mamme del Leoncavallo che gestiva le iniziative del centro.
I tentativi
Per 133 volte i tentativi di esecuzione
dello sfratto erano andati a vuoto
Il prossimo tentativo era fissato per il 9 settembre e nel frattempo il Comune stava studiando l’assegnazione di uno spazio in via San Dionigi, periferia sud-est di Milano, come possibile soluzione. Ma il prefetto Claudio Sgaraglia e il questore Bruno Megale, su sollecitazione del ministro Matteo Piantedosi, hanno deciso di anticipare l’azione per scongiurare nuove conseguenze legali.
Un blitz che ha visto il plauso della premier Giorgia Meloni: «In uno Stato di diritto non possono esistere zone franche o aree sottratte alla legalità». A cui risponde la segretaria pd Elly Schlein: «Perché Meloni non lo dice al suo amico Netanyahu che sta occupando illegalmente Gaza e la Cisgiordania?». Mentre Avs e Anpi contestano il doppiopesismo del governo nei confronti di CasaPound che da venti anni occupa uno stabile pubblico a Roma. Ma per il ministro degli Esteri Antonio Tajani «non c’è differenza tra occupazioni di sinistra o destra, entrambe configurano un reato». Esulta il vicepremier Matteo Salvini, che nel ’94 da consigliere comunale del Carroccio difese invece i giovani del Leonka: «Decenni di illegalità tollerata, e più volte sostenuta, dalla sinistra: ora finalmente si cambia. La legge è uguale per tutti: afuera!».