Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  agosto 21 Giovedì calendario

Foto di donne nude e insulti sessisti Chiuso il gruppo dei mariti misogini

Su Facebook per sette anni ogni giorno qualche migliaio di sconosciuti si è dilettato nella condivisione e nel commento delle fotografie di pezzi di corpo di donna. Mogli, fidanzate ma anche sconosciute riprese in spiaggia, al supermercato. Bastava qualche centimetro di pelle nuda per trasformare un essere umano in una figurina da scambiare. E poi, i commenti. Definirli osceni, disturbanti, non rende l’idea dell’effetto nauseabondo che fa scorrere tra decine e decine di volgarità. Ti fa subito pensare, potrei esserci io.
Ieri mattina il gruppo Facebook “Mia moglie”, con tre cuoricini rossi a seguire, è stato chiuso. Era un gruppo pubblico, visibile a chiunque, creato da chissà quale illuminato gentiluomo nel gennaio del 2019 e arrivato a più di 30mila iscritti. Per la stragrande maggioranza uomini, se non si fosse capito. Qualcuno tra loro ha provato a difendersi con la scusa del gioco di coppia, e chissà se seduta accanto al pc qualche moglie c’è stata veramente. Ma a scorrere i post è chiaro lo scopo ultimo di questo virile assembramento è dare piena legittimità e sfogo a tutto quello che passa per la testa e lì dovrebbe stare.
Non si può sapere se le donne ritratte siano effettivamente le malcapitate mogli o delle malcapitate sconosciute, ma pare ovvio che nessuna abbia prestato il consenso a mostrarsi e a ricevere decine e decine di commenti che vi risparmiamo.
A turbare l’allegra compagnia è stata l’attivista femminista Carolina Capria, che ha ricevuto e condiviso sul suo profilo Instagram L’hascrittounafemmina alcuni screen dell’illuminato scambio di pareri. Il gruppo era aperto, il nome ha girato in fretta, Facebook ce l’abbiamo tutti. Tante non sono più disposte a liquidare la faccenda con il classico “son fatti così”. L’indignazione è montata in fretta, più che comprensibilmente, il caso è finito sui media e in moltissime si sono mobilitate per segnalare il gruppo sia a Facebook che alla Polizia postale. Condividere una foto intima rubata, se pure alla moglie, è un reato.
Sette anni e trentamila persone, il gruppo nemmeno confinato a qualche canale Telegram ma pubblico e visibile, dicono molto di una violenza strisciante e diffusa, nemmeno riconosciuta da chi la agisce. «Le donne rappresentano da sempre il terreno sul quale gli uomini si sfidano e misurano la loro virilità – scrive Capria -. Mostrare a un altro la “propria” donna come un bene che si può concedere ma comunque si possiede significa stabilire una gerarchia, creare un rapporto con quell’uomo che altrimenti sarebbe impossibile forgiare. É un gioco nel quale le donne sono solo una merce, un bene che aggiunge valore all’uomo che la possiede. Un corpo intermedio tra due corpi che altrimenti non sanno come stabilire un rapporto. Perché l’unico rapporto è quello che ha al centro la virilità».
Questo caso emblematico di misoginia nella sua sciatta pochezza richiama alla mente le stesse dinamiche del caso di Gisèle Pelicot, la donna francese violentata da decine di uomini con la complicità del marito. L’associazione Dire, Donne in rete contro la violenza, ha parlato di violenza collettiva. «Non è intimità condivisa, ma cultura dello stupro radicata – scrivono -. Fino a che non lo combatteremo come problema politico e culturale, storie come questa saranno la norma».
Nella tarda mattinata di Ieri il gruppo è stato eliminato. Una vittoria, ma piccola. «Abbiamo rimosso il Gruppo Facebook Mia Moglie per violazione delle nostre policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti – fa sapere Meta con un comunicato alle agenzie di stampa -. Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi sessuali o sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme. Se veniamo a conoscenza di contenuti che incitano o sostengono lo stupro, possiamo disabilitare i gruppi e gli account che li pubblicano e condividere queste informazioni con le forze dell’ordine».
Sarà. Intanto un gruppo con lo stesso nome e gli stessi intenti già c’è. Il creatore, che non si fa problemi a comparire con nome, cognome e luogo di lavoro – è un informatico, mezza età, di Torino – precisa che questa volta il gruppo sarà privato, ma con il solito trucchetto: le foto vanno nei commenti per aggirare i controlli. In venti minuti si sono già iscritti in ottanta. Restano decine e decine di altri gruppi, più o meno partecipati, dedicati allo scambio e al commento delle fotografie di donne, conosciute e non. In ogni caso corpi, non persone. —
a