Corriere della Sera, 21 agosto 2025
Carrère ritorna bambino
Kolkhoze, come una piccola comune agricola sovietica, pagina 253, con la «strana convinzione» inculcata dalla mamma che fosse la migliore delle proprietà collettive possibili. Poi ecco che ci si avvicina al significato più intimo, pagina 261: Emmanuel bambino e le due sorelle possono dormire nel letto con la mamma quando sono malati. «Ma noi lo facevamo anche senza il pretesto della malattia, e tutti assieme... Nostra madre aveva dato un nome a questo rito: fare kolkhoze».
È il titolo del nuovo attesissimo libro dello scrittore francese Emmanuel Carrère, anticipato dall’editore P.O.L. al «Corriere della Sera». In italiano uscirà per Adelphi solo nel 2026, a Parigi sarà in libreria il 4 settembre, già decretato come vedette tra gli oltre 400 volumi di quest’affollata rentrée littéraire. E proiettato verso il premio Goncourt.
Un Carrère in purezza, come lui stesso dice nella prima intervista, ieri al settimanale «Télérama»: «Opera di lutto, che ho scritto però con una certa leggerezza, pervaso da una tristezza dolce». Lontana dal disagio di Yoga (2020) che lo stesso autore definisce «traballante»; più sereno di Un romanzo russo (2007). Carrère la mette sullo scaffale assieme al suo preferito, Vite che non sono la mia (2009). Salvo che la vicenda è la sua, nello specifico quella della sua famiglia materna nell’arco di quattro generazioni, indietro fino alla Georgia, l’Ucraina, la rivoluzione sovietica, i russi bianchi, il collaborazionismo del nonno a Bordeaux.
Le prime sessanta pagine l’autore le scrive di getto subito dopo il trionfale omaggio pubblico alla madre, nata Hélène Zourabichvili nel 1929, apolide, morta francese a Parigi nel 2023 con il cognome Carrère d’Encausse, e un percorso ascendente fuori dal comune: studiosa della Russia, esperta di Urss, anticipatrice del crollo del blocco sovietico, imprevedibilmente esperta dell’epizoozia della pecora uzbeka; da Sciences Po fino al tempio assoluto della cultura francese, l’Académie di cui è stata segretaria permanente dal 1999, massima carica.
Il titolo «sovietico»
Quando la madre slavista consentiva ai figli piccoli di dormire con lei, diceva: «Facciamo kolkhoze»
«Il 3 ottobre 2023 – è l’incipit di Kolkhoze – cinquantatré giorni dopo la sua morte, le viene reso omaggio nel cortile degli Invalides». È un picchetto ai massimi livelli, i militari schierati, la musica, le bandiere e il discorso del presidente della Repubblica, Emmanuel Macron. «Mi è sembrato il coronamento di una vita», dice lo scrittore a «Télérama». Il papà al momento della cerimonia c’è ancora, ma anziano e assente morirà 147 giorni dopo, annota Carrère, «di dolore».
Ai tre figli toccano le penose incombenze degli orfani, sgomberare case, invadere studi. Tra le carte del padre, lo scrittore fa la scoperta di un’accuratissima ricerca genealogica, in particolare sul ramo materno. La base per il racconto c’è già. Carrère vi aggiunge la sua capacità – straordinaria – da reporter (esercitata nell’ultimo V13 del 2022), i viaggi in Ucraina e Georgia negli anni recenti dopo l’invasione di Mosca; un sentimento di disamore nei confronti della Russia che convive con l’intimità, con una lingua mal parlata che però ha il suono dell’infanzia.
È il libro della pacificazione e della maturità, della piena realizzazione della cifra inconfondibile di Carrère: la mescolanza tra i grandi avvenimenti e l’album dei ricordi privati; tra i protagonisti della storia e i comprimari che aggiungono humour o pennellate di sfondo o anche solo servono al ritmo.
«Un libro più aperto, di maggior respiro. Anche perché – dice ancora l’autore alla rivista – non sono stavolta il principale protagonista. Sono narratore e testimone, occupo il posto del figlio, del nipote, del fratello...». La comune dei Carrère infine al capezzale della madre. Pagina 537: «Come quando eravamo bambini e nostro padre era in viaggio: tiravamo nella stanza dei genitori due materassi, il posto accanto a mamma sul letto matrimoniale occupato da Marina, la più piccola... Quella notte, riuniti tutti e tre attorno a nostra madre, abbiamo per l’ultima volta fatto kolkhoze».