Corriere della Sera, 21 agosto 2025
Panatta e Nordio sono grandi amici
Dice: ci vorrebbe un amico. Specie in certi momenti... Poi scopri quello di Carlo Nordio: Adriano Panatta. Strana coppia. Anzi, all’apparenza, improbabile: l’uno trevigiano, liberale di ferro; l’altro romano, con nonchalance socialista. «E invece – ci conferma il ministro – tra noi c’è un’amicizia vera, ci vediamo spesso. A casa mia, a casa sua. Una frequentazione assidua».
Ne aveva accennato Panatta ad Aldo Cazzullo, a inizio luglio. Ma quindi, com’è cominciata?
«Con Anna Bonamigo. “Boba”, come la chiamiamo noi a Treviso. Amica carissima, avvocatessa, che conosco da quando eravamo ragazzini. Una decina di anni fa si è fidanzata con Adriano e l’ha portato a vivere nella nostra città, gioiosa e amorosa. Siamo diventati vicini. Abbiamo cominciato a frequentarci con le rispettive mogli. E l’amicizia si è consolidata. Li ho pure sposati».
A Venezia.
«Cerimonia splendida. Ero emozionato quanto loro, per me era la prima volta. Zaia mandò una bellissima lettera: citava Platone e Aristofane».
E che regalo fece?
«Ecco, dovrebbe chiederlo a mia moglie: di queste faccende se ne occupa lei. Io non ho grande talento...».
Che cosa vi tiene così legati, lei e Panatta?
«Un disincanto comune. Una certa indulgenza verso il prossimo. Qualcuno la chiama snobismo, io la definisco carità cristiana. E un rispetto profondo per la libertà altrui».
Però lui è affezionato a Nenni, che gli ricorda il nonno...
«E io a Malagodi! A 16 anni ero iscritto al Partito Liberale. Ma tra liberali e socialisti riformisti c’è l’80 percento delle idee in comune. Compreso il garantismo. La realtà è che siamo entrambi due liberali. E con tendenze radicaleggianti, direi pure».
Lei da pm i socialisti comunque li inseguiva: andò a Roma ad interrogare De Michelis.
«Uomo di intelligenza superiore. Cedette all’arroganza del potere. Anni dopo, lo incontrai di nuovo. Era malato. Parlammo a lungo. Concordammo che Tangentopoli fece danni forse superiori ai benefici».
Di cosa conversate, voi due?
«Quando siamo da soli ci divertiamo a prenderci in giro, a fare battute, jeu de mots. Mi ha invitato nel suo programma in radio per ripetere in diretta i nostri scherzi. Gli ho detto: ci vengo quando ho finito di fare il ministro».
Panatta dice che la politica non entra nelle vostre chiacchiere.
«Un dieci percento di politica c’è. Ma il resto sono racconti. A me piace ascoltare le sue storie sul tennis e sulla vita, che conosce meglio del sottoscritto; a lui le mie da magistrato. Vuole sapere delle Brigate Rosse, dei rapimenti. Mi interroga sull’attualità».
Le avrà chiesto di Almasri.
«Gli abbiamo dato l’attenzione che meritava, anche perché ora deve decidere la Camera».
E di Garlasco?
«Gli ho detto che comunque vada, finirà male. È una manifestazione di giustizia che porta tanto dolore e che alla fine non concluderà nulla».
A tennis giocate?
«Non prendo in mano una racchetta da cinquant’anni. Io da lui vado a nuotare: Adriano ha un centro sportivo a Treviso, il Roquet Club».
Quante vasche fa?
«Anche 40, un chilometro. Stile libero naturalmente (se la ride). Poi ogni volta, uscito dalla vasca, mi concedo un bel Negroni o uno Spritz Campari. Mi alleno per quello».
E a cena?
«Cucina lui. È uno dei cuochi romani più bravi che conosca: carbonara, gricia, amatriciana. Le migliori mai mangiate, anche rispetto agli stellati».
È vero che eravate insieme anche quando Meloni la chiamò per offrirle il ministero?
«Sì, a Cortina. Con lui e Boba. Furono sorpresi. Ma io più di loro. Adriano mi disse: “Roma ti cambia la vita. Può essere pericolosa”».
Panatta che fece l’assessore per Rutelli... Non è che ha avuto ragione?
«Io sono un anziano gentiluomo di provincia. Il rischio, quando arrivi nelle stanze romane, è quello di sentirsi inadeguati o tentati. Ma alla mia età, e con la mia esperienza, non è cambiato molto. Salvo una cosa: la distanza da mia moglie e dai miei due gatti, Rufus e Romeo Leonetto».
Parla poco di sua moglie, Mariapia.
«Siamo sposati dal ‘78, più sei anni di “presofferto”, come dico io. La conobbi nella sezione del partito Liberale di Treviso, guidata dal padre. È stato un matrimonio felice. Lei cura il terrazzo, abbiamo fragole e pomodori. Io le ho fatto amare Beethoven. E insieme, per 40 anni, siamo andati a cavallo sul Montello. Al nostro anniversario apro ancora una bottiglia di Champagne, quello che odora un po’ di muffa, che non si fa più».
Non avete avuto figli, le manca?
«Non sono arrivati. La natura ha deciso così, non ho rimpianti».
Con «Boba», invece, che rapporto ha?
«Speciale. Le ho anche dato qualche consiglio quando decise di fare politica in An. Le dissi: meglio avere rimorsi che rimpianti. Poi ha fatto bene a tornare alla sua professione. È una donna di grande equilibrio e saggezza».
Panatta ha una sfilza di trascorsi amorosi. Gli ha mai chiesto nulla?
«Altroché. Lo provo sempre a stanare. Ma lui è un gentiluomo. E sulle donne segue l’insegnamento di Leon Gambetta, che agli ufficiali francesi, dopo la sconfitta con la Germania, diceva: “Pensateci sempre, non parlatene mai”».
Ha detto che lo farebbe esibire nelle carceri.
«Alcune strutture sono obsolete: al Regina Coeli per cambiare una porta devi passare dalla Soprintendenza. Altre sono moderne, ci sono pure i campi da tennis. Abbiamo già portato Venditti per gli spettacoli. Adriano tra i detenuti sarebbe un grande messaggio».
Alla vigilia di Natale eravate tutti insieme a cena: lei, sua moglie, Adriano e Boba. E un sacerdote, don Mariano. Lei crede?
«Sono cresciuto come chierichetto devoto, poi ho letto tutto quello che si può sulla critica testamentaria. Ovvio che mi definisca cristiano. Ma rispondo come Kant: postulo l’esistenza di Dio e quindi una giustizia ultraterrena perché in quella umana non ho molta fiducia».