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 2025  agosto 21 Giovedì calendario

Intervista a Antonio Bassolino

La montagna come passione, ma anche orizzonte di vita. Come ogni estate, dagli anni 80, il napoletano e comunista Antonio Bassolino è sulle sue amate Dolomiti. «Quando arrivo in cima ho sentimenti particolarissimi: è il mio rapporto con l’infinito, con l’immensità. Solo in quei momenti succede».
Due volte sindaco di Napoli, due presidente della Regione Campania, una ministro, deputato dall’‘87 al ‘92 e poi dal ‘92 al ‘93 quando si dimette per essere eletto a Palazzo San Giacomo. Ora consigliere comunale.
Qual è l’estate politicamente più calda che ricorda?
«La prima da sindaco, pienissima e impegnativa».
Napoli venne scelta per ospitare il G7.
«In realtà fu un G8, perché per la prima volta partecipava anche il presidente russo Eltsin. Avevamo pochi mesi per preparare l’evento, restaurare interi pezzi della città. Per monitorare i lavori in piazza Plebiscito ingaggiai un gruppo di anziani che sostava sulle panchine di piazza Trieste e Trento. Le foto di Clinton che correva sul lungomare e mangiava la pizza in pieno centro fecero il giro del mondo. Io ricordo le mie passeggiate con Mitterand».
Quanto contano i rapporti umani in politica?
«Moltissimo. Perché diventano rapporti politici. Quando accolsi Kohl a Capodichino mi disse: lei è un uomo fortunato ad essere sindaco di Napoli. Io gli risposi: certo, ma dipende anche dai giorni… Qualche anno dopo il Parlamento tedesco aveva deciso la chiusura del Goethe Institut a Napoli, io scrissi una lettera personale a Kohl e lui fece cambiare la decisione al Parlamento».
Il simbolo del rinascimento napoletano è piazza Plebiscito liberata dalle auto. È vero che fu colpa di un caffè?
«Sì. Noi avevamo chiuso solo per i giorni del G7, poi dovevamo decidere cosa fare, ma la sera stessa, dopo aver accompagnato tutti a Capodichino, prima di tornare a casa andai a prendere un caffè al Gambrinus. E vidi che erano già state rimosse le transenne per far circolare le auto. Impazzii dalla rabbia. Chiamai il comandante dei vigili rimettemmo le transenne e poi la chiudemmo definitivamente».
Il suo rapporto con Silvio Berlusconi cominciò allora.
«Ed è stato sempre un rapporto fondato sulla correttezza. Racconto un episodio. Berlusconi mi chiamò per salutarci a chiusura del G7 e mi invitò a cena. A Mergellina. Mi chiese però una cortesia: posso portare con me Tatarella? mi disse. All’epoca vicepresidente del Consiglio, osteggiato in alcuni Paesi esteri. La cena era riservata. Ma quando uscimmo c’erano decine di fotografi e telecamere. Berlusconi si mise in posa tra me e Tatarella, il comunista con l’uomo di destra. Fu l’inizio di un rapporto cordiale. Per alcuni anni il giorno di Natale mi chiamava per gli auguri. Ma poi mi passava mamma Rosa, simpaticissima».
Era con lui anche quando ebbe la notizia dell’invito a comparire durante il vertice Onu sulla criminalità organizzata?
«Sì. Un’episodio indimenticabile. La sera prima del vertice Onu eravamo al San Carlo e ricordo come se fosse ora, nel palco reale, quando venne un collaboratore di Berlusconi e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Mi disse a bassa voce: devo uscire. Non tornava più, uscii io. Lo trovai bianco in viso e mi raccontò dell’invito a comparire. “Ora torno a Roma”. E io gli dissi di rimanere all’apertura, di tenere il discorso e poi correre a Roma. Così fece».
Da sindaco a Ferragosto stava sempre in Comune. Perché?
«Sempre. Perché ritenevo che il Comune dovesse essere aperto e dovesse esserci il sindaco. Poi si andava negli ospizi, per stare accanto ai più fragili. E iniziammo a organizzare i Ferragosto in piazza per i napoletani che non andavano in vacanza».

Qual è stata l’estate della svolta?
«Alle 21 e 25 del 21 luglio del 2003, una delle date più importanti della mia vita. L’ultima sigaretta. Un passaggio fondamentale anche dal punto di vista politico. In media bruciavo 5 pacchetti al giorno. Se non c’erano riunioni notturne. Fumavo e prendevo caffè. Una volta per approvare un bilancio restammo per tre giorni e tre notti consecutivi in Consiglio. A un certo punto vidi nel pubblico mia figlia Chiara che mi faceva segno: ma quando torni a casa? Poi ho avuto un problema serio alle corde vocali, c’era un tumore e non si capiva se benigno o maligno. Feci l’intervento.
E dopo?
«Andai sulle mie amate Dolomiti, ma per 3 settimane restai muto. Finché un giorno venne a trovarmi il mio amico Ugo e andammo a fare un’escursione. Lui prese la mappa e mi chiese quale strada fare. A quel punto risposi: prendiamo questo sentiero. Una signora si girò: è Bassolino vero? L’ho riconosciuto dalla voce. Le avrei dato un bacio. Da quel momento la mia vita è diventata una nuova vita».