Corriere della Sera, 21 agosto 2025
E1, l’insediamento definitivo che affossa le speranze di uno Stato palestinese
Era stato Ariel Sharon ad archiviare le mappe catastali del progetto che pure risaliva a tanti dei suoi predecessori fino al laburista Yitzhak Rabin. I governi israeliani erano convinti della necessità di una continuità urbanistica tra Gerusalemme a est e la grande colonia di Ma’ale Adumim per poi raggiungere il Mar Morto e il confine con la Giordania: ideologia e strategia espansionistica, una Gerusalemme che si ingrandisce a metropoli nei territori palestinesi.
Nel 2005 «Bulldozer» Sharon, che pure era considerato il capo cantiere degli insediamenti, deve piegarsi alle pressioni di George W. Bush: i presidenti americani credono ancora nella nascita di uno Stato palestinese e quel blocco di 3.500 abitazioni (all’inizio, il piano prevede altri quartieri, centri commerciali e un’area industriale) taglia in due a colate di cemento la Cisgiordania, soprattutto la divide dalla parte araba di Gerusalemme, quella che dovrebbe costituire la capitale della futura nazione. Dalle colline semidesertiche verrebbero cacciati almeno 2 mila beduini, già trasferiti qui a forza dal Negev per far posto ai villaggi e alle cittadine israeliane.
Il Donald Trump del primo mandato si è lasciato convincere da Benjamin Netanyahu che uno Stato palestinese sia irrealizzabile. Il premier israeliano racconta nella biografia Bibi – La mia storia di aver usato un paragone preso dal golf per spiegare al leader statunitense che fosse difficile da attuare «quanto centrare una buca in un colpo solo». Aveva ridotto la complessità geografica del conflitto alla cartina di Manhattan per mostragli che le frontiere palestinesi sarebbero state troppo vicine ai centri vitali di Israele, come da Brooklyn guardare i grattacieli dall’altra parte del ponte, i razzi avrebbero potuto colpire l’aeroporto di Ben Gurion.
In questa fase l’attenzione scostante dell’amico Donald sembra attratta da altre questioni, così Netanyahu ha lasciato che gli alleati messianici si sfogassero con le brame territoriali e ancor più ultranazionaliste: come ha proclamato Bezalel Smotrich, il ministro delle Finanze e leader dei coloni, l’approvazione del piano E1 «seppellisce la possibilità di uno Stato palestinese non con gli slogan ma con i fatti». Il premier si tiene stretti gli estremisti che gli permettono di restare al potere, allo stesso tempo le pressioni internazionali potrebbero spingerlo a rallentare il processo burocratico dalla pubblicazione delle gare d’appalto ai permessi di costruire.
Già nel 2012 aveva proclamato – in campagna elettorale – di essere pronto a procedere con l’edificazione e ancora l’aveva annunciato otto anni dopo sempre per raccogliere voti a destra.
In passato il premier israeliano si era sempre fermato, consapevole che i 12 mila chilometri quadrati indicati dalla sigla E1 avrebbero potuto infiammare una terza intifada tra i palestinesi. Ma il Netanyahu della guerra perpetua Gaza, della postura offensiva ovunque nella regione, non è più quello considerato cauto e avverso ai conflitti.