La Stampa, 20 agosto 2025
Chi comanderà Generali
Gli addetti ai lavori guardano già al 9 settembre. All’indomani dell’Ops del Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca. E al futuro della governance di Piazzetta Cuccia. Un destino che, a cascata, si intreccia con quello di Generali. E con quello dei gruppi Caltagirone e Delfin azionisti in Mps, Mediobanca e Generali. Se, come sembra, la scalata di Mps su Mediobanca andrà in porto – la soglia minima del 35% è virtualmente già raggiunta -, la finanziaria della famiglia Del Vecchio e il gruppo che fa capo all’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone diventerebbero i primi due azionisti del Monte che a cascata avrebbe il controllo di Mediobanca e di Generali.
Un’operazione di mercato sostenuta dal governo che – primo azionista di Mps attraverso il Mef – punta alla creazione di un terzo polo bancario, ma che apre una serie di interrogativi futuri a livello di governance. I paletti della Bce, infatti, sono stretti: per acquisire una soglia «qualificata» oltre il 10% di un istituto finanziario serve il via libera della vigilanza bancaria europea. Un processo che mira «ad assicurare che soltanto soggetti idonei abbiano accesso come soci al sistema bancario, per impedire che ne venga turbato l’ordinato funzionamento». L’Eurotower si accerta che i nuovi azionisti «godano della necessaria solidità finanziaria» e «che le banche in oggetto continueranno a rispettare i requisiti prudenziali applicabili», ma valuta caso per caso a seconda delle soglie da raggiungere.
Nel 2022, la Bce aveva comunicato a Delfin che «allo stato attuale» non sarebbe potuta salire oltre il 20% di Mediobanca: per poter ottenere l’autorizzazione, la finanziaria avrebbe dovuto trasformarsi in una holding bancaria. Una richiesta che, in casi simili, rappresenta una prassi consolidata della vigilanza europea. Due anni prima, invece, la Bce aveva autorizzato la salita oltre il 10%, ma Delfin – che aveva agito tramite Bankitalia – aveva sottolineato di essere interessata a un investimento finanziario, escludendo di voler presentare una lista per il rinnovo del cda all’assemblea del 2020. Come a dire che la vigilanza può anche porre dei limiti alla possibilità di influenzare la governance di un determinato soggetto all’interno di un’istituzione bancaria.
Non per nulla la Bce ha già inviato al Monte dei Paschi di Siena una serie di richieste che aspettano una risposta «entro sei mesi dalla data di acquisizione del controllo di Mediobanca». In particolare, Francoforte ha chiesto un piano di integrazione che spieghi «l’assetto di corporate governance del nuovo gruppo» con riferimento «alla struttura organizzativa ed alla normativa propedeutica ad assicurare il coordinamento strategico ed operativo» tra Siena e le controllate e «l’assetto degli organi nelle società controllate».
Delfin si è portata avanti. E lo scorso 12 agosto ha ottenuto il via libera per salire a ridosso del 20% di Siena, questa volta senza paletti sulla possibilità di presentare una lista per il rinnovo del cda. Una quota che la holding raggiungerebbe in caso di fusione tra Siena e Mediobanca, ma se l’adesione all’Ops del Monte si fermasse al 40% sarebbe vicina al 27%, mentre Caltagirone si troverebbe al 16-17%. Anche per questo Mps dovrà spiegare alla Bce in che modo le soglie autorizzative saranno rispettate e come intende gestire la governance. Un aspetto regolatorio cruciale. Anche perché l’ad del Monte, Luigi Lovaglio, ha già fatto sapere di volere trovare un nuovo capo azienda per Mediobanca: l’occasione potrebbe essere quella dell’assemblea del 28 ottobre, chiamata ad approvare il bilancio di Piazzetta Cuccia. Chiunque venga indicato avrà, a cascata, la responsabilità del 13,1% di Generali. E in uno scenario così complesso, è difficile ipotizzare che Mps voglia mettere mano alla governance del Leone prima di aver fornito alla Bce tutti i chiarimenti richiesti. E prima di aver capito anche come intenda muoversi il gruppo Caltagirone che non ha mai chiesto di salire oltre il 10% ne in Mps ne in Mediobanca.
Prende quota, di conseguenza, la possibilità che l’attuale amministratore delegato di Trieste, Philippe Donnnet gestisca la fase di transizione. —