La Stampa, 20 agosto 2025
Le colpe dei giornalisti
Non c’è bisogno di trovare chissà quali parole per biasimare Giorgia Meloni, sorpresa a Washington mentre illustra la scelta programmatica di non parlare con la stampa. Non c’era nemmeno bisogno che lo dicesse: lo avevamo intuito. E non c’è bisogno di architetture filosofiche per spiegare che non parlare con la stampa è uno dei tanti modi di mandare in malora la democrazia. Ma prima d’indignarsi – eppure si indignano – i giornalisti dovrebbero prendersi la responsabilità di aver fatto di una nobile professione una faccenda di trincea, i giornali di destra e i giornali di sinistra, i governi amici e i governi nemici, la retorica liberticida della casta e della presunzione di colpevolezza. E prima di indignarsi – eppure si indignano – i capi dell’opposizione dovrebbero domandarsi qual è il loro rapporto con la stampa (qualcuno ricorda, anni fa, quando Romano Prodi rivendicò di non parlare con Retequattro, da capostipite del melonismo contemporaneo?), qual è la logica di scegliersi gli interlocutori nei talk-show, delle interviste di cui pretendono le domande per iscritto. E tutti quanti dovremmo chiederci per quale motivo l’indignazione resta confinata nelle nostre casematte, e fuori a nessuno importa nulla dei giornalisti, dei loro rapporti con la politica, nessuno compra e nessuno legge i nostri giornali, nessuno ci considera strumenti necessari al buon funzionamento della democrazia ma imbrattacarte al soldo del nemico, nessuno comprende il cataclisma. E infatti la democrazia non funziona più tanto bene, e in genere succede quanto diventa difficile scovarne uno che non sia allo stesso tempo colpevole e vittima.