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 2025  agosto 20 Mercoledì calendario

Gli 80 anni di Rita Pavone


«La prima volta che mi sono esibita davanti a un pubblico vero e non davanti ai parenti, ero una extraterrestre. Avevo 13-14 anni e, su un palcoscenico importante come il Teatro Alfieri di Torino, partecipai a un evento musicale per giovanissimi, Buongiorno Marziani: eravamo proprio dei marziani!». Ne ha fatta di strada da allora Rita Pavone che, squillante come sempre, il 23 agosto raggiunge il traguardo degli 80 anni.
«Ricordo l’emozione di quello spettacolo – racconta —. Io truccata da “negrettina” nei panni del famoso cantante Al Jolson, cantavo Swanee, imitando la sua voce e il suo muoversi da “cantante pazzo”. Sembravo proprio un’afroamericana. Poi, però, cantai anche Arrivederci Roma. L’impatto col pubblico fu straordinario, non me lo aspettavo e per una settimana ebbi la febbre alta: avevo capito che stare sul palcoscenico sarebbe diventata la mia avventura».
Il primo a capire le sue qualità canore per la futura avventura fu suo padre Giovanni...
«... ed è stato il mio vero manager che mi ha guidato fino all’ultimo. All’inizio ero troppo piccola per capire. A scuola, sono arrivata alla quinta elementare e, quando frequentavo la seconda, venni espulsa dalla classe per una settimana, perché avevo picchiato una compagna».
Perché?
«Mi prendeva in giro continuamente, diceva che ero bassa, che sarei rimasta una nana. Il bullismo esisteva già a quei tempi. Quella ragazzina oltretutto bruttina, essendo figlia di una persona importante, veniva a scuola con l’autista e portava spesso fiori alla maestra. Una mattina, durante la pausa della merenda, mi disse una frase cattivissima. Non ne potevo più: le piantai un pugno in mezzo agli occhi».
I suoi genitori come la presero?
«Mia madre, Maria, molto male, esclamò: non ti si può lasciare sola che combini guai! Papà mi chiese: perché lo hai fatto? Gli raccontai cos’era successo e disse: io al posto tuo l’avrei picchiata prima. Quando tornai in classe, tutte le compagne erano molto gentili. Credo che pensassero: questa è piccola di statura, ma è una che mena!».
Finita la scuola?
«Eravamo una famiglia di sei persone, più dello studio contava la pagnotta e mi mandarono a stirare camicie in un negozio: lavoravo 9 ore al giorno, guadagnando 1500 lire a settimana, tuttora sono velocissima a stirare. Però ho imparato tante cose con la settimana enigmistica...».
Studiava con le parole crociate?
«Papà era malato di calcio e di settimana enigmistica. Mi esortò a leggerla, aveva ragione, è stata molto utile... ne vado fiera e tuttora ho la malattia dell’enigmistica».

La carriera inizia nel 1962...
«Al Festival degli sconosciuti di Ariccia che, combinazione, era una manifestazione per nuovi talenti ideata da un “certo” Teddy Reno – ride – Mio padre aveva mandato un “nastrino” con incisa la mia interpretazione del brano La partita di pallone e mi accettarono. Ma erano necessari un po’ di soldi per andare vicino Roma: per le nostre possibilità, era come andare a New York».
Come trovaste le risorse?
«Mamma aveva da parte un gruzzolo per comprare un frigorifero, papà puntava su quel gruzzolo e si scatenò la lite. Vinse lui dicendo: spero che la vita di nostra figlia valga almeno un frigorifero».
La svolta, con il Gian Burrasca di Lina Wertmuller.
«Grazie ai consigli di Lina ho imparato a fare il maschio, copiando i miei fratelli, inoltre non era tanto difficile per me assumere sembianze maschili: sono diventata signorina a 17 anni, non avevo seno, ero piatta! Sembravo talmente maschio che le mie fan credevano lo fossi davvero, erano tutte innamorate del mio Giannino Stoppani e, quando scoprivano che ero femmina, ci rimanevano male!».
L’incontro con Elvis Presley?
«Avvenne a Nashville, dove stavo incidendo un album per la Rca. Avevo 19 anni, era il mio idolo. Sapevo che sarebbe arrivato la sera tardi, attesi il suo arrivo: era bellissimo, con i basettoni lunghissimi, un signore gentile. Si girò verso di me, mi prese la gota tra le dita e mi fece i complimenti, forse aveva sentito parlare di me».
Ma l’incontro più importante è avvenuto con colui che sarebbe diventato l’uomo della sua vita...
«Eh già. Ferruccio (in arte Teddy Reno ndr) era divorziato, aveva la sua vita, io la mia, poi capimmo che ci volevamo bene. Data la differenza d’età tra noi, papà la prese male, fu categorico: io quell’uomo non lo voglio vedere in casa mia. E quando, dopo varie vicissitudini, siamo riusciti a sposarci, non mi portò all’altare. Quando nacque il nostro primo figlio Alessandro, papà ammise il suo sbaglio, dicendo: con voi ho toppato alla grande».
Come festeggerà il compleanno?
«In famiglia... Se non mi guardo allo specchio, mi sento una trentenne, al massimo una quarantenne! L’importante è stare bene e, nonostante i 63 anni di carriera, finché la mia voce regge, un nuovo concerto, perché no?».