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 2025  agosto 20 Mercoledì calendario

Roatta, generale impunito

Nel memorabile suo intervento al Congresso dei Cln tenutosi a Bari, sotto sorveglianza alleata, il 28 gennaio 1944, Benedetto Croce fece ricorso ad una metafora che era anche un giudizio storico ancor più che politico: finché l’attuale re resta sul trono noi sentiamo che il fascismo «ci rimane attaccato addosso». Poneva il problema – che è stata una costante della storia italiana post-bellica – della continuità post-fascista del fascismo. Il Re, come ben sappiamo, resistette a lungo prima di mollare. Abdicò soltanto in piena campagna elettorale del referendum sulla questione istituzionale sfociato nella vittoria della Repubblica il 2 giugno del 1946. Figure, gravitanti intorno al sovrano, (il «Re fascista»), protrassero quanto possibile, con la loro stessa inamovibile persona, tale continuità. Uomo chiave di tale cerchia fu il generale Mario Roatta, già patron del Sim (Servizio informazioni militari).
Alla sua inaffondabile persona dedica una eccellente biografia lo storico italiano Davide Conti (Il generale Roatta. Il passato rimosso del fascismo, Salerno Editrice), esperto indagatore, da anni, della rinascita neofascista agli albori della nostra storia repubblicana. A fronte della solidità delle sue ricerche e della documentazione da lui prodotta vani sono risultati anche recenti assalti giudiziari a lui rivolti.
Conti non soltanto ricostituisce la carriera del Roatta, dall’azione svolta accanto al «generalissimo» Francisco Franco nella guerra civile spagnola all’attentato mortale ai fratelli Rosselli, alla ferocia da lui dispiegata come comandante della II Armata nei Balcani sotto occupazione italiana, alla piroetta all’ombra del Re dopo il 25 luglio, al sanguinario stato d’assedio da lui imposto nel solco del continuismo badogliano durante la farsa dei «45 giorni», fino alla mancata difesa di Roma l’8 settembre, alla fuga e al vergognoso salvataggio suo nel dopoguerra.
Conti non perde mai di vista, in questa ricostruzione, il contesto «alleato» delle vicende italiane. E sa bene quanto il continuismo – magari ancorato proprio alla figura del Re – fosse considerato con favore dal versante britannico delle autorità alleate. In una nota di diario del 29 luglio ’43, che Conti valorizza, Harold Macmillan (futuro premier inglese ma, allora, dopo l’8 settembre ’43, vicepresidente della Commissione alleata di controllo) scrive: «Credo che, se il Re e Badoglio non chiederanno nel giro di pochi giorni un armistizio, potremo provocare in Italia contro di loro una vera e propria sollevazione. Tuttavia a noi converrebbe di più non provocare una sollevazione o una rivoluzione che poi saremmo solo costretti a soffocare» (pp. 61-62).
In realtà esplosioni spontanee di giubilo e di richiesta di pace subito, alla notizia dell’arresto di Mussolini, vi erano state, e la repressione sanguinaria contro di esse l’aveva organizzata e fatta attuare Roatta, confermato da Badoglio capo di Stato maggiore dell’esercito.
La famigerata «circolare Roatta» fu lo strumento repressivo, che lasciò in pochissimi giorni sul terreno 80 morti e 300 feriti (20 morti e 36 feriti accertati soltanto a Bari, al mattino del 28 luglio ’43) oltre ai circa 1.500 arresti. Quella famigerata circolare, che ordinava di sparare ad altezza d’uomo, poiché – spiegava – «qualunque pietà e riguardo nella repressione sarebbe un delitto» ricalcava – scrive Conti – «simmetricamente quelle emesse da Roatta in Spagna durante la guerra civile e in Jugoslavia durante l’occupazione italiana» (p. 60).
Nella lista dei criminali di guerra italiani presentata dal governo jugoslavo alle Nazioni Unite, il primo nome era appunto quello di Roatta. Quando, per le attività del Sim (tra cui l’uccisione dei Rosselli) Roatta andò a processo, la sua arma fu la ben possibile chiamata di correo a carico dei vertici dello Stato. «Il coinvolgimento di Badoglio e della monarchia è inevitabile»: fu subito chiaro, già prima che, pur detenuto, Roatta facesse balenare (via Sim) documenti compromettenti per tutti. Da Regina Coeli, Roatta esternava: «Troppe persone sono legate al mio silenzio. Esse sanno che, se lo riterrò necessario, parlerò (…). E per farmi tacere non c’è che un mezzo: non costringermi a parlare» (p. 136).
In queste condizioni, la sua fuga verso la salvifica Spagna fu una fuga «annunciata»: vera farsa nella tragedia italiana. L’amnistia del 1946 lo riportò in patria.
Il caso Roatta – scrive non a caso Conti – fu l’emblema della transizione italiana dal fascismo alla Repubblica, nel segno della continuità dello Stato. Potremmo dire anche: dal Sim al Sifar.