Corriere della Sera, 19 agosto 2025
Marco Belinelli d l’addio al Basket
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Ci ho messo il cuore.
Ogni briciolo di me stesso.
Ogni singolo giorno.
La pallacanestro mi ha dato tutto... e io ho dato tutto a lei.
Non è facile dire addio.
Ma è il momento.
Porto con me ogni emozione, ogni sacrificio,
ogni applauso.
Grazie a chi c’è sempre stato.
Ai più giovani,
lascio un sogno.
Fate in modo
che ne valga la pena.
E così, con un messaggio sui social essenziale come i suoi tiri in uscita dai blocchi, Marco Stefano Belinelli a 39 anni, 4 mesi e 24 giorni ha annunciato quello che ormai era da tempo nell’aria: non gioco più, me ne vado.
È il miglior cestista italiano? Di sicuro è l’unico ad aver vinto un titolo Nba. Giocando. E tanto basta.
Un anno fa, a domanda rispose: «Ho paura di smettere. Vorrei che non succedesse mai, perché dopo non so cosa farò».
Oggi la paura è passata?
«Eh, quella frase l’ho detta, ma forse paura non era la parola giusta. Più che altro sapevo che avrei lasciato una parte importante di me stesso: sono cresciuto con un pallone in mano, e mi sono accorto che il tempo vola».
E cosa vede davanti a sé?
«Una vita con mia moglie e con le mie fantastiche bimbe e tante ore passate in palestra, nelle arene e sugli aerei da poter finalmente dedicare a loro. Domani mi sveglierò abbracciato a loro, faremo colazione insieme, andremo in spiaggia e giocherò con loro».
Non le mancherà il basket?
La città e i sogni
È vero, ho tatuato il cap di San Giovanni in Persiceto: è la mia città, mi ha dato la possibilità di realizzare i miei sogni e non ero un predestinato
«Oggi per niente. Magari, quando comincerà la nuova stagione, mi prenderà un po’ di nostalgia. A ora, niente».
Nemmeno due tiri al campetto con gli amici?
«Solo famiglia».
Quando ha preso la decisione di chiudere?
«Ho ascoltato il mio fisico. L’ultimo è stato un anno particolare: siamo partiti con Banchi, poi è arrivato Ivanovic. Avevo dolori all’anca, alle ginocchia. Ho stretto i denti per arrivare allo scudetto».
Lo scudetto vinto ha influenzato la decisione?
«Forse un po’. Ma è da tempo che mia moglie e il mio staff sapevano che poteva essere l’ultimo anno».
Dica la verità: voleva chiudere festeggiando con le sue due bambine in campo.
«Confesso: Nina Sophie ha 3 anni e mezzo, la tenevo in braccio dopo la vittoria in Eurocup. Volevo regalare la stessa emozione a Deva Vittoria, che ha un anno e mezzo».
Tutto per le sue figlie.
«Mi hanno cambiato la vita. E la grande, quando partivo per le trasferte, cominciava a dirmi: “Papà, vai via?”. Un buon motivo per fermarmi».
Se si volta indietro, riguardando la sua carriera, che cosa le viene in mente?
«La parola sacrificio. Io so quanto ho sudato per conquistarmi 13 anni in Nba. È facile ricordare i momenti belli, oggi tutti parlano di quello che ho vinto. Io ricordo le critiche che mi hanno motivato a fare sempre meglio».
«Non ha il fisico né il carattere per giocare in Nba». Dicevano questo di lei.
«Me lo ricordo bene. C’era Bargnani, prima scelta assoluta. Gallinari, talento super. E poi c’ero io, quello che non c’entrava niente. Non mi è mai interessato, però dopo i primi due anni senza giocare nessuno avrebbe scommesso che sarei rimasto in Nba».
E invece...
«Sono arrivato a New Orleans, dove credevano in me. Chris Paul mi diceva: “Quando ti passo la palla tu tira”, era sicuro che potessi fare sempre canestro. Sono frasi che ti cambiano una carriera».
Ci sono anche partite che cambiano una carriera: i 25 punti ai Mondiali del 2006, ad appena 20 anni, contro gli Usa di LeBron James e Carmelo Anthony, per esempio.
«Lì si è aperta una finestra. Ricordo che ho giocato con serena incoscienza. Dentro il primo tiro, dentro il secondo... ho pensato: potrebbe essere una buona partita».
Le è valsa una chiamata in Nba. Non era emozionato?
Il titolo e Bird
Ricordo il titolo Nba con il tricolore sulle spalle o la vittoria nella gara del tiro da tre. Pensi che l’ha vinta anche Bird e dici: ehi, ci sono anch’io
«Riesco a estraniarmi, in partita non sento più nulla, penso soltanto a vincere».
I tifosi l’avevano soprannominata Rocky, per la sua espressione imperturbabile alla Rocky Balboa. Lei non prova emozioni o invece le nasconde molto bene?
«Un mix delle due cose».
Torniamo alla Nazionale. Si è mai chiesto perché la sua generazione non abbia vinto nulla?
«È un rammarico che mi porterò dentro fino alla fine dei miei giorni. Avevamo talento, avevamo tutto. Che cosa non ha funzionato? Non lo so. Ma la colpa è solo nostra».
«L’avversario più difficile da marcare? Marco Belinelli». Jaylen Brown le ha già inviato il suo Iban?
Risata. «Sono complimenti che fanno piacere, soprattutto quando a farli è un Mvp campione Nba. Forse ho lasciato qualcosa di buono là dove ho giocato...».
I flash che le passano davanti agli occhi ora che ha annunciato il ritiro?
«Ovviamente il titolo Nba, con l’orgoglio di tenere sulle spalle la bandiera italiana. O la vittoria nella gara del tiro da 3 punti, che magari vale quello che vale ma poi guardi l’albo d’oro, leggi i nomi di Bird, Stojakovic, Nowitzki, Curry e dici “ehi, ci sono anch’io”».
Eh no, troppo facile.
«Ha ragione. Allora le dico: la prima volta che sono entrato negli spogliatoi dei Bulls, lì si sedeva Michael Jordan. Il draft: una gran confusione, quando mi chiamarono i Golden State Warriors io e Martina nemmeno sapevamo dove fosse. Gli incontri con Obama, con il Papa. Quando affrontai Kobe e gli rubai il pallone. E la mia foto da bambino con la maglia della Vis Persiceto».
A proposito: lei è probabilmente l’unico al mondo ad avere tatuato un codice d’avviamento postale.
«San Giovanni in Persiceto per me è tutto. Sono molto legato alla mia città: mi ha dato la possibilità di realizzare il mio sogno da bambino, e io non ero certo un predestinato. Spero che il mio sia un esempio per i giovani».
Niente partita d’addio?
«Non tocca a me organizzare nulla. Però ammetto che quando durante Olimpia-Real ho visto la cerimonia del ritiro della maglia del Chacho mi sono emozionato».
Un messaggio alla Virtus. Già che ci siamo: è vero che resterà in bianconero come dirigente?
«L’hanno scritto i giornali. Ci sentiremo e decideremo insieme. A oggi però penso solo a fare il marito e il papà».
Buona fortuna campione.