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 2025  agosto 19 Martedì calendario

Intervista a Davide Rampelli

Davide Rampello, regista, direttore artistico, scrittore e inviato di «Striscia La Notizia». Nato in Sicilia, ma con accento veneziano.
«La mia origine è un atto d’amore: il papà era siciliano, la mamma di Bassano del Grappa. È partita un mese prima che nascessi per Raffadali, ad Agrigento, così da farmi nascere nel letto dove era nato mio padre».
E Venezia?
«Sono cresciuto in Laguna e parlo il veneziano, la lingua più bella del mondo, insieme al napoletano. Ma la Sicilia ricorre: ho fatto dal 2002 al 2006 il direttore artistico del comune di Palermo».
La sua famiglia.
«Mio padre, ufficiale, è morto quando avevo 16 anni. Una famiglia-non-famiglia. Mia mamma si è trasferita, è andata a insegnare al Cairo, all’Ambasciata. Io e mio fratello siamo rimasti da soli».
Come ve la siete cavata?
«A 18 anni ero indipendente. Mi sono trasferito a Milano presto: alla fine degli anni Sessanta era fantastica. Ho conosciuto Franco Loi e Domenico Porzio. E siccome avevo già la passione per il cibo cucinavo per tutti».
I famosi salotti intellettuali.
«Sì, ma c’è una differenza interessante tra erudito e colto. Il”bibliotecario” de La nausea di Sartre trascorre il tempo studiando: è erudito ma usa l’intelletto in modo razionale, senza la sfera emotiva. Mi interessa chi coltiva».
Un colto che le viene in mente?
«Girando l’Italia trovo contadini e vignaioli colti. La loro cultura del territorio è forte. Bisogna essere curiosi. Non nel senso di essere ficcanasi, ma di prendersi cura».
Quando ha capito la sua strada?
«Non la capisco ancora. Ho accettato le provocazioni della vita. Ogni volta che mi si proponeva una cosa, l’accettavo. Ho lasciato l’Università perché ero innamorato del teatro. Ho frequentato l’Accademia di Arte Drammatica».
La tv come è arrivata?
«Grazie all’amicizia con un uomo straordinario: Cino Tortorella, il mago Zurlì. È stato lui a portarmi nelle emittenti private».
Il Mago Zurlì.
«Aveva una fantasia straordinaria, era il più grande inventore di giochi. Allora il direttore della Rai di Milano era Raffaele Crovi, un poeta».
Ha lavorato con Tortora.
«Ad Antenna 3: un uomo intelligente».
Silvio Berlusconi.
«Mi ha chiamato da lui per lavorare insieme nel ‘79, per cui sono orgoglioso di potermi ritenere tra i fondatori di Canale 5. Devo a lui modalità di lavoro, visioni e una confortante amicizia e simpatia. Poi, quando decise di fare in politica, mi ha regalato una grande esperienza: da direttore della comunicazione di Fininvest ho lavorato con Fedele Confalonieri».
Eppure si è avvicinato al centrosinistra di Sala.
«Diedi la disponibilità come assessore alla cultura, ma non sono mai stato candidato. Conoscevo Beppe Sala perché avevo lavorato con lui durante Expo. Un successo che mi ha permesso di acquisire una visione che ho poi messo al servizio della città».
Presidente della Triennale e ideatore del Padiglione Zero all’Expo. Quale attività l’ha più gratificata?
«La somma di tutto. Il passaggio da Presidente della Triennale all’Expo è stato bellissimo: sono arrivato come direttore artistico dell’Expo e poi mi sono concentrato sull’ideazione del Padiglione Zero con modalità inedita, scrivendo un racconto e una sceneggiatura. Quando mi hanno chiamato avevo un budget, poi si è dimezzato. Ma sono arrivato a un risultato lo stesso eccellente».
La Triennale di Milano.
«Normalmente i Presidenti erano tutti architetti, io no. E poi ero visto come un uomo di Berlusconi. Ma il mio impegno è stato totalizzante, pur con 1500 euro al mese. Ho chiesto a 5 diversi ministri della Cultura: perché non avere lo stesso stipendio del Presidente della Biennale?».
Ancora oggi quel progetto porta il suo segno.
«Abbiamo affidato il restauro a De Lucchi, riaperto il parco e inaugurato il Fiat Cafè grazie al generoso aiuto di Lapo Elkann: all’inaugurazione abbiamo contato 13mila persone. Quando sono andato ad Expo la Triennale faceva 400mila visitatori: abbiamo ribaltato il concetto di bookshop. E siamo stati i primi a cucinare dentro a un’istituzione culturale, con chef come Moreno Cedroni e Carlo Cracco».
Che ruolo le piacerebbe ricoprire oggi?
«Mi piacerebbe molto fare il ministro dell’Agricoltura».
Come la prenderà Franco Lollobrigida?
«Credo che il Ministro apprezzi la mia preparazione e il mio approccio al mondo dell’Agricoltura. Trovo infatti che essere il Ministro dell’Agricoltura è di fatto essere il Ministro della Cultura. Perché la parola coltivare, colere in latino, è quella che ha dato origine poi alla parola cultura. E provocatoriamente penso che sarebbe felice di sapermi suo futuro successore».
Un commento sulla vicenda legata all’urbanistica di Milano?
«Conosco Manfredi Catella, Beppe Sala e le dinamiche umane che soggiacciono ai grandi progetti. La crescita ad alta velocità della città e del business ha spinto forse a forzare alcuni sistemi fino ai limiti. Si può valutare come spregiudicato l’atteggiamento. Ma può diventare lo spunto per una riflessione sulla capacità delle amministrazioni di essere illuminate».
Come finirà?
«Intravedo malcostume, ma non un profilo penale. Questa indagine – legittima – non porterà a incriminazioni, ma ad una frenata di investimenti, mancando anche l’opportunità di fare bene per tutti i cittadini “normali”, tra i quali mi ascrivo a pieno titolo».
Lei è amico di Stefano Boeri. Vi siete sentiti?
«Certo, gli sono amico e lo stimo. Quando si ricoprono ruoli di responsabilità, il rischio è di trovarsi coinvolti in movimenti più grandi dei nostri valori. Stefano è un grande architetto, spero che possano parlare più le cose che ha creato che stralci di intercettazioni».
La Milano dei grattacieli.
«Penso che sia bella, dinamica, ma è solo una delle tante anime della città, quella forse più ricca».
L’arrivo di stranieri a Milano per la flat tax.
«Significa case di lusso con costi più alti, servizi esclusivi, come accade nelle capitali. Ma bisogna pensare a servizi per tutta la cittadinanza, a cominciare dalla più fragile».
Frequenta i club cittadini?
«Non ho mai frequentato un club in vita mia. Amo gli amici, che non sono molti e frequento assiduamente».
Musk o Trump?
«Nessuno dei due».
Quale Tg guarda?
«Non ne ho uno fisso. Sento il bisogno di un telegiornale all’inglese, come la Bbc. Preferisco leggere gli editoriali. Ma pochi i giornalisti mi attraggono per le opinioni».
Andrebbe a un reality?
«Nella vita “mai dire mai” è spesso la risposta giusta. Ma non c’è niente di più lontano da me dei reality».
Un programma da condurre?
«Conduco già Paesi e Paesaggi su Striscia: mi piacerebbe un format sui “Beni Culturali Viventi”, l’artigianato italiano».
Un talento incrociato?
«Heather Parisi: se avesse avuto come coreografo Bob Fosse sarebbe diventata la numero uno al mondo. Franco Miseria era bravo, non il migliore».
Il libro della vita?
«I dizionari: ne ho una collezione dal 1500 a oggi».
Il film della vita.
«L’inizio di Morte a Venezia. Alcune immagini del Deserto Rosso di Antonioni. Come si fa a scegliere?»
Da veneziano come ha visto il matrimonio di Bezos?
«Venezia era abituata, quando era Serenissima, ad accogliere i principi e i re. Le cose fatte da Bezos sono ridicole in confronto. Enrico III, quando da re della Polonia diventa re di Francia, passa da Venezia e viene accolto da un corteo di 5.000 gondole. Poi al Lido lo aspetta un arco di trionfo in legno che racconta le sue imprese progettato da Palladio e dipinto da Veronese e Tintoretto. Quello che è mancato a Bezos, è stata una visione colta della città».
Quale sarebbe la più grande disgrazia?
«La perdita della memoria condivisa, della bellezza tramandata. Il mondo sta offrendo paesaggi di catastrofe, di negazione della bellezza».
Crede nell’Aldilà?
«È una domanda costantemente aperta, che costantemente genera dubbi e nello stesso tempo speranze».