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 2025  agosto 19 Martedì calendario

Volodymyr in giacca ma senza cravatta riconquista lo Studio Ovale

Nel febbraio del 2022 il dilemma del presidente ucraino Volodymir Zelensky era fra scappare, come implorava Joe Biden, prima che i parà di Putin lo fucilassero a Kiev, o battersi spalle al muro. Nel febbraio del 2025, umiliato da Trump e dal suo vice J.D. Vance, in un agguato modellato sull’arroganza di Atene contro i Meli, Guerra del Peloponneso, 25 secoli fa, ha dovuto di nuovo scegliere tra resa senza condizioni o disperata resistenza in campo. Ieri però, tornando allo Studio Ovale, sullo sfondo del Giardino delle Rose ridente, Zelensky non era solo davanti all’ennesimo lancio di dadi che il fato gli ha imposto: con lui c’erano, uniti come nessuno avrebbe immaginato, tutti i leader europei e il capo della Nato.Da bravo attore Zelensky ha infarinato la faccia di cipria diplomatica e sorriso, pur con l’affanno in petto da Pagliaccio di Leoncavallo, ripetendo “Thank You Mister President!”, litania per sedare l’ego di Trump. La propaganda Maga batteva petulante online – «Si ripresenterà in T shirt quel clown?» – rottura dell’etichetta che Trump detesta e Zelensky, che aveva giurato di attendere la pace per rimettersi la cravatta, è arrivato in completo da fascino della divisa, camicia scura abbottonata, giacca attillata, ma senza cravatta, Trump gli ha fatto i complimenti e il reporter bullo Brian Glenn, che sei mesi l’aveva insultato per la maglia verde olivo, lo elogia da amicone, ridendo affettuoso: Glenn non è un cronista qualunque, è fidanzato con la deputata ultras trumpiana Taylor Greene, e nella trappola di febbraio aveva un ruolo preciso da provocatore. Oggi i registi gli han detto invece “Scusati!” e lui l’ha fatto, con Zelensky a ribattere ironico: «Io mi son cambiato, tu hai lo stesso vestito di allora!».Dignitoso, stoico, pragmatico, deciso a parlare in inglese, a testa alta ma con la deferenza indispensabile a trattare con Trump, Zelensky aveva avuto un brief preciso dai leader europei, in privato, che un ambasciatore condensa aRepubblica così «Quando il segretario Nato Rutte definisce Trump “Daddy”, quando Macron loaccoglie con una parata o Meloni sottolinea la relazione speciale Roma- Washington, non lo fanno per servilismo, ma perché adularlo dispone Trump all’ascolto».Nella forma, dunque, dalla sartoria al galateo, Zelensky è stato cortese e disponibile. Nella sostanza ha confermato determinazione, pur davanti a un gioco difficile. In febbraio Trump e Vance gli intimarono sprezzanti «ricorda, non hai carte in mano!», ieri ha calato i suoi assi da pokerista, solidarietà di europei e Nato, sponde nel partito repubblicano, dal segretario di Stato Rubio al senatore Graham, solida maggioranza degli ucraini. Non ha mai pronunciato un secco “No” alla cessione di territori in Donbass e Donetsk, come il presidente russo richiede prima del cessate il fuoco, pur consapevole che la Costituzione ucraina richiede un referendum sul tema e che giusto in quell’area sorgono le migliori linee di difesa. Ha glissato con garbo, voltandosi con perfetta scelta di tempo verso le telecamere, a ripetere al mondo: «Servono garanzie perché la Russia non violi ancora i nostri confini». E, da comunicatore consumato, ha annuito quando la premier Meloni ha elogiato la resistenza ucraina rivendicando l’idea di una garanzia di sicurezza per Kiev, ha fissato il cancelliere Merz che ammoniva «il difficile comincia adesso» e quando l’abile presidente finlandese Stubb ha ricordato il passato del suo Paese contro la dittatura Urss, ha puntato lo sguardo su Trump a suggerirgli: “Ricordalo!”.Gli europei, spesso caricaturati da buoni a nulla, non lo hanno abbandonato, e Zelensky sa che servono truppe al confine, Londra, Parigi, chi altri?, per fermare un Putin che, partito per ridurre l’Ucraina a vassallo, adesso deve vendere all’opinione pubblica di Mosca la “vittoria” di un pugno di km quadrati in Donbass. Girando lo schienale della seggiola per fissar tutti, Zelensky si è detto «felice» che gli alleati parlino di sicurezza per Kiev.A Volodymyr Zelensky il campo minato del summit poteva essere fatale e a sorpresa gli ha aperto nuove chances. Spente le luci però, si spegne anche il sorriso del giovane presidente perché Merz ha ragione: il difficile comincia ora, altri inesorabili dilemmi lo attendono.