la Repubblica, 17 agosto 2025
Dalle adulazioni al pranzo saltato. Ecco come è fallito il summit
«Camera down». Già a pochi chilometri dall’ingresso fortificato della base aerea Elmendorf- Richardson, i militari statunitensi intimano di non far foto, pronti a rimbrottare chiunque ci provi di sguincio. La carovana di quattro bus che trasporta le delegazioni di diplomatici e giornalisti russi e statunitensi si addentra in un bosco, costeggia dei binari e infine si snoda tra alloggi e hangar. La base è una piccola città nella città di Anchorage: 32mila abitanti per 24mila ettari. Oltre alle sofisticate infrastrutture militari, ci sono pub, bar, palestre, piscine, bowling, chiesa e un teatro dove tutti i dispositivi vengono minuziosamente setacciati. La sicurezza è massima. Sin dalla Guerra Fredda i militari di base in Alaska non hanno fatto che scrutare il cielo per intercettare i jet del vicino nemico che ora si ritrovano in casa. I bambini che giocano tra i prati rasati stridono col cordone di cingolati, stryker e due obici uno fronte l’altro che cordonano il centro eventi Arctic Warrior, Guerriero Artico. È qui che si terrà l’atteso vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin.
Sulla pista ci sono quattro F-22, naso contro naso, a delineare un corridoio verso l’Air Force One. Donald Trump è atterrato, ma attende a bordo mezz’ora. Il “Cremlino Volante” di Putin arriva scortato da due coppie di caccia. I militari statunitensi si inginocchiano per srotolare il tappeto rosso fin sotto alla scalettadel jet russo e l’immagine diventa virale. “Make Russia Great Again”, commenta sarcastico qualcuno. I portelloni dei due aerei presidenziali restano chiusi per un altro quarto d’ora, poi si aprono in simultanea. Trump scende la scaletta e applaude Putin che gli va incontro. Un omaggio che persino la Casa Bianca deve aver trovato fuori luogo tanto da tagliarlo da tutti i suoi filmati ufficiali. «Buongiorno, caro vicino. È bello vederti sano e salvo», esordisce Putin. Un’allusione allo scampato attentato.
Il primo incontro tra i due leader in sei anni non potrebbe essere più cordiale. Sorrisi, strette di mano, pacche e passeggiata davanti alla guardia d’onore col comandante-in-capo statunitense che accenna il saluto militare. Entrambi indossano un abito scuro, Trump una cravatta rossa, Putin bordeaux, e alzano lo sguardo verso i caccia F-22 e il bombardiere B-2 che sorvolano le loro teste, gli aerei progettati proprio per contrastare l’Urss durante la Guerra Fredda. Se doveva essere una prova di forza trumpiana, fallisce: sembra l’ennesimo omaggio stonato a un leader sotto mandato d’arresto per crimini di guerra. A sottolineare la storpiatura che si sta consumando in mondovisione, ci pensa una giornalista. Mentre i due posano per una foto su un podio con la scritta bianca “Alaska 2025” su sfondo blu, urla: «Presidente Putin, smetterà di uccidere i civili?». Il leader del Cremlino sorride e fa cenno di non sentire. Pure Trump glissa invitandolo a salire a bordo della sua Cadillac, la “Bestia”. Uno strappo al protocollo.
Quando poco dopo i due leader riappaiono al centro Arctic Warrior davanti a uno sfondo blu con la scritta “Pursuing Peace”, “Cercando la pace”, i giornalisti continuano a urlare domande. «Putin, accetterà un cessate il fuoco? Si impegnerà a non uccidere più civili? Perché Trump dovrebbe fidarsi di lei?». Il leader del Cremlino sorride e fa smorfie ma non risponde. Si limita a urlare qualcosa d’incomprensibile con le mani strette attorno alla bocca a mo’ di megafono, mentre Trump borbotta «Grazie, grazie» alla stampa che viene scortata fuori. È l’inizio delle trattative. I colloqui che erano previsti in formato individuale si svolgono nel formato “tre a tre”. Una cautela dell’ultima ora della Casa Bianca. Alla destra di Putin ci sono il ministro degli Esteri Sergej Lavrov e il consigliere per gli affari esteri Jurij Ushakov, alla sinistra di Trump il segretario di Stato Marco Rubio e l’inviato speciale Steve Witkoff. «Putin starà propinando a Trump la sua lezioncina di storia sull’Alaska venduta agli Usa dallo Zar». Tra i giornalisti nel centro stampa impazzano le congetture. Sono stati accomodati in un tendone, da un lato gli statunitensi, dall’altro i russi, con due wi-fi diversi a sottolineare chi è di casa e chi ospite per un giorno. La varietà di snack strabilia i reporter russi. «Assaggia», dice uno. «Sembrano razioni militari». Sono dei bastoncini di formaggio.
Dietro alle porte chiuse, Trump incalza per un cessate il fuoco, Putin insiste per un accordo che elimini «le radici primarie del conflitto». Tenta l’adulazione. Con Trump al potere nel 2022, non si sarebbe arrivati «al punto di non ritorno». «Siamo separati dallo Stretto di Bering. Siamo vicini di casa. È un fatto». Prova a mettere sul tavolo anche commercio e affari. Trump teme il raggiro, ma subisce il fascino di Putin che, al solito, è arrivato con faldonisottobraccio. Non può ammettere il fallimento, per cui fa buon viso a cattivo gioco. Ma «c’è una grande cosa» che non consente di arrivare all’intesa sperata. Bisogna chiamare Ucraina e Nato. «Alla fine, la decisione spetta a loro». Parole da Ponzio Pilato. Cancella il pranzo di lavoro dove i colloqui sarebbero dovuti proseguire in formato allargato, benché girassero già la pianta dei posti a tavola e il menù. Sì, ci sono «esponenti del mondo degli affari russo qui e non vediamo l’ora di avere a che fare con loro», dice Trump, ma prima «cerchiamo di chiudere questa storia». Il conflitto in Ucraina. Il vertice abortisce senza accordo e senza raggiungere le altezze del “summit”.
Che qualcosa sia andato storto, lo si intuisce anche nel tendone quando viene convocata anzitempo la conferenza stampa che non sarà una conferenza stampa. Gli incontri sarebbero dovuti durare almeno sei ore e invece ne sono trascorse meno della metà. In prima fila ci sono già i ministri della Difesa e dello Sviluppo economico Belousov e Siluanov che avrebbero dovuto partecipare alla seconda fase dei negoziati. Witkoff si siede poco dopo, ma riceve un messaggio sul telefono, si alza e torna indietro. Arriva Lavrov, poi il capo del Fondo sovrano russo Dmitriev. E infine Rubio che scambia qualche battuta con Lavrov dai lati opposti del corridoio che divide la sala in due: russi a sinistra, americani a destra. Momento di panico quando un uomo viene trascinato via a spalla. «Un agente americano che non si è sentito bene», minimizza una volta tornato l’inviato diPervyj Kanal che lo ha sorretto. Torna il silenzio quando appaiono i due presidenti. Parte Putin: un intervento di otto minuti e mezzo, puntuale, gli appunti su un foglio. Il solitamente loquace Trump parla poco più di tre minuti, a braccio. Niente domande. I due parlottano ancora nel backstage. Poi Putin, prima di volare via, depone fiori sulle tombe dei piloti sovietici caduti durante la Seconda guerra mondiale. Ai giornalisti aveva ricordato che la «simbolica» Linea internazionale del Cambio Data corre «non lontano da qui al confine tra Russia e Usa». «Credo si possa passare, anche politicamente, da ieri a domani». Un domani a sua immagine e somiglianza.