Corriere della Sera, 17 agosto 2025
Un passo verso Mosca, uno verso l’Europa. E la vera sorpresa: il silenzio di Donald
Molto rumore per nulla. Un coro di critiche ha accolto l’esito del summit. Le voci di condanna sono tante e si possono riassumere così: Trump ha regalato a Putin una legittimazione, la fine dell’isolamento, in cambio non ha ottenuto nulla. Neppure una promessa di cessate-il-fuoco condizionato. Lo stesso presidente americano del resto ha concluso il vertice ammettendo che l’accordo non c’è, anche se ha parlato di un progresso per raggiungerlo. Una novità può correggere il bilancio negativo, se confermata: lui avrebbe convinto Putin ad accettare truppe occidentali in Ucraina.
Un’altra sorpresa del vertice, in realtà, è stata proprio l’assenza di «rumore». Trump ci ha abituato a degli show interminabili, è un uomo di spettacolo, adora la rissa con i giornalisti e perfino con i leader stranieri. Ad Anchorage è stato di poche parole e non ha accettato domande. Una discrezione inedita, con due spiegazioni. La prima è che c’era poco di cui vantarsi, l’assenza di un accordo da annunciare ha reso il presidente Usa più laconico del solito. Ma la seconda spiegazione, fornita da lui stesso, non va scartata: Trump ha promesso di rivelare i dettagli del vertice per prima cosa a Zelensky e agli alleati europei. Che abbia tenuto la parola, almeno per alcune ore, è quasi inaudito. Un tempo si sarebbe detto: è così che si fa diplomazia.
Da parte sua un gesto di rispetto verso i partner è così inusuale da ispirare diffidenze e dietrologie; ma è meglio del contrario. Quando ha ceduto alla tentazione della politica-spettacolo, il risultato è stato spesso un horror-show, vedi l’agguato a Zelensky nello Studio Ovale a febbraio. Per una volta – e salvo ci ripensi nelle prossime ore – Trump almeno in questo ha seguito un copione un po’ più tradizionale. Quasi deludente per chi si aspettava i fuochi d’artificio.
Il bilancio di Anchorage quindi è parziale e provvisorio. Che lo Zar avesse tutto da guadagnare in Alaska era risaputo. Inoltre Putin ha ingannato, manipolato, talvolta umiliato e ridicolizzato ben quattro presidenti Usa, nell’ordine George W. Bush, Barack Obama, Joe Biden e lo stesso Trump nel vertice di Helsinki del primo mandato: ciascuno di loro diede valutazioni sbagliatissime sull’uomo e sulle sue politiche, a cui seguirono altrettanti errori strategici. In quanto al regalo di averlo rilegittimato, è vero ma parziale. Putin dal febbraio 2022 è stato isolato solo dall’Occidente. Cina, India Turchia, Paesi arabi e tutto il Grande Sud globale non hanno mai partecipato alle nostre sanzioni e lo hanno trattato coi guanti. Per altri versi la calorosa stretta di mano di Trump non attenua l’indebolimento e la marginalizzazione della Russia: lo stesso presidente americano gli ha «sfilato» la Siria e ha mediato la pace Armenia-Azerbaigian nel suo cortile di casa. Resta che le sanzioni si sono rivelate un colabrodo, ma questo era evidente sotto Biden. Idem per la situazione sul terreno militare, tragicamente sfavorevole agli ucraini: anche su questo errori, ritardi e contraddizioni hanno pesato fin dal febbraio 2022 dentro la comunità Nato, molto prima che tornasse alla Casa Bianca The Donald.
Di suo Trump ci ha aggiunto un bel carico di ambiguità e ripensamenti. Arrivò al potere promettendo «pace in 24 ore» e sono sette mesi che il popolo ucraino l’aspetta. Insultò Zelensky nello Studio Ovale, minacciando di abbandonarlo, e questo di sicuro ha dato a Putin un segnale di via libera (oltre ai tanti, pur meno volgari, che aveva incassato da Bush, Obama e Biden nel 2008, nel 2014, nel 2021).
Di recente il tono di Trump è cambiato. L’Europa si è guadagnata un po’ di rispetto, sia per i nuovi impegni di spesa presi in sede Nato (3,5% di Pil in spese militari, a crescere fino al 5%), sia per l’accordo sui dazi. Zelensky ha imparato a «maneggiare» The Donald e a triangolare continuamente con le capitali europee. In seno alla Casa Bianca è cresciuto Marco Rubio, segretario di Stato e National Security Adviser: conservatore tradizionale, falco di politica estera, agli antipodi rispetto all’istintiva attrazione di Trump verso Putin.
Il risultato, provvisorio, è l’ibrido che sembrerebbe essere uscito dall’Alaska. Trump si è avvicinato pericolosamente a Putin sulle concessioni territoriali. Si è invece avvicinato all’Europa e a Kiev sulle garanzie di sicurezza future per l’Ucraina, senza più escludere un coinvolgimento dell’America. Forse la vera novità è se riesce a convincere Putin che l’Ucraina andrà protetta in futuro con soldati occidentali sul suo territorio. Un accenno diagonale e fugace lo Zar lo ha fatto in conferenza stampa quando ha detto che «naturalmente» dovranno esserci garanzie di sicurezza per l’Ucraina. La palla passa all’Europa e a Zelensky, per ammissione dello stesso Trump.