Corriere della Sera, 17 agosto 2025
Soldati Usa in ginocchio, tappeti rossi e pacche sulle spalle. L’incontro tra Trump e Putin
Anchorage (Alaska) Tappeti rossi, applausi, sorrisi. E alla fine l’invito di Vladimir Putin a Donald Trump, in (raro) inglese: «Next time in Moscow!», la prossima volta a Mosca.
Il summit di Ferragosto in Alaska segna la riabilitazione del presidente russo dopo l’invasione dell’Ucraina: accolto non come un paria, ma come un pari dal presidente degli Stati Uniti. È anche una scommessa di Trump, che punta a un accordo di pace tra russi e ucraini. Ma se funzionerà lo sapremo in futuro, per adesso quello che resta è la cronaca di una giornata storica, soprattutto per Vladimir Vladimirovich, tornato sul suolo americano per la prima volta da dieci anni.
L’Air Force One atterra alle 10.20 di venerdì’ mattina alla base militare di Elmendorf-Richardson, che fu centrale durante la Guerra fredda per il monitoraggio, l’intercettazione e la deterrenza dell’Unione Sovietica. Trump e il suo entourage restano dentro, in attesa. Solo mezz’ora dopo, quando arriva anche l’aereo presidenziale russo, in un momento altamente coreografato, i due leader scendono dalle scalette: Trump da solo; Putin, accompagnato da tre guardie del corpo. Il leader russo aspetta che la suola della scarpa del padrone di casa tocchi la pista prima di iniziare a scendere. Li attendono due tappeti rossi: e quando Trump giunge per primo nel punto in cui i tappeti si incontrano, aspetta Putin, applaudendolo per tre volte, mentre si avvicina. Gli tende la mano, si scambiano una stretta, pacche, sorrisi. «Buon pomeriggio, caro vicino. È bello trovarti in buona salute e in vita», gli dice Putin, come rivelerà più tardi, ricordando che solo lo Stretto di Bering divide le due grandi potenze. Mentre volano sulle loro teste i caccia e i bombardieri B2, gli stessi usati per colpire gli impianti nucleari iraniani, i due settantenni in completo scuro, l’uno con la tipica cravatta rossa e l’altro bordeaux, sfilano fianco a fianco, fino a una pedana con la scritta «Alaska 2025». Un’altra stretta di mano.
La battuta su Lavrov
«Presidente Putin, la smetterà di uccidere i civili?». Il leader russo ignora la domanda della giornalista di Abc News, indicando l’orecchio, come per dire di non aver sentito. E si infila con Trump nella «Bestia», la limousine del presidente americano, dove per dieci minuti si trovano soli, senza interpreti, fino all’arrivo alla «Loggia del Guerriero Artico», dentro la quale campeggia la scritta «Pursuing Peace» (Perseguire la pace).
Non c’è stato – con sollievo degli ucraini – l’incontro privato con i soli interpreti inizialmente previsto (anche se resta un mistero cosa si siano detti in quei dieci minuti): poi per quasi tre ore, Trump e Putin parlano alla presenza del segretario di Stato Marco Rubio, dell’inviato speciale Steve Witkoff, e dei ministri degli Esteri Sergei Lavrov e della Difesa Andrei Belousov. Lavrov aveva fatto parlare di sé il giorno prima, arrivando ad Anchorage con una maglietta con la scritta «Cccp» (le iniziali per Ussr in cirillico). «Chiaramente, per Putin, la Russia nei suoi attuali confini è solo un punto di passaggio sulla strada verso la restaurazione di un impero», ha scritto il New York Times: «Ma a Trump non interessa». «Sei quasi più famoso del boss», dirà il presidente americano in conferenza stampa a Lavrov, facendolo ridere.
La tenda dei giornalisti
Al seguito della Casa Bianca, ci sono alcune decine di giornalisti – tra cui il Corriere della Sera —: saliti sui bus alle 5.30 del mattino, scortati all’interno della base dai militari, sottoposti per tre ore e mezzo a minuziosi controlli, e infine ospitati sotto un tendone davanti alla sede del summit. Sotto lo stesso tendone da una parte ci sono i tavoli per i giornalisti americani, dall’altra quelli dei russi (con wi-fi separati). Una cinquantina di reporter sono arrivati in charter da Mosca: si sono lamentati d’essere stati trattati come alluvionati, ospitati nello stadio di hockey con lettini da campeggio (è la stagione turistica e non c’era più posto negli alberghi). In volo è stato servito loro «pollo alla Kiev»: uno di loro suggeriva che Zelensky dovrebbe fare la fine di quel volatile, per mano di Putin e di Trump. Nessun collega ucraino era accreditato alla base. «Putin occupa territori, distrugge intere città, uccide, stupra, ruba, rapisce, tortura, e cosa ottiene? Un tappeto rosso», commenta qualcuno da Anchorage. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova esultava: «I media occidentali stanno per impazzire. Hanno passato gli ultimi tre anni a dire che la Russia è isolata, e oggi si trovano davanti il meraviglioso tappeto rosso steso per il presidente russo negli Stati Uniti». Entusiasta per la «costruzione della pace» anche il giornalista di Real America’s Voice, Brian Glenn (quello che aveva detto a Zelensky di essersi vestito male nello Studio Ovale): i colleghi russi gli regalano una bottiglia di vodka dopo che li ha aiutati a ritrovare una macchina fotografica perduta e lui la mostra orgoglioso sui social.
Il cambio di programma
Il summit prevedeva due incontri: uno più ridotto e l’altro più ampio, con le intere delegazioni, e poi un pranzo di lavoro. Ma all’improvviso i giornalisti vengono chiamati per conferenza stampa. Il secondo incontro e il pranzo stati cancellati. I due leader stanno arrivando.
Il clima è di grandissima attesa. Putin prende la parola, sorprendendo la corrispondente della tv di destra Fox News, Jacqui Heinrich che dice in diretta: «Siamo sul suolo americano qui, di solito è il leader del Paese ospitante a parlare… ma lui ha iniziato a parlare in russo e siamo corsi a prendere le cuffie per la traduzione…». Putin definisce i colloqui «costruttivi», ma si sofferma soprattutto sui rapporti bilaterali ricordando di avere ammonito Biden «a non portare le ostilità a un punto di non ritorno… un grosso errore». Quando cita l’Ucraina, evoca «le cause alla radice» («…le minacce alla nostra sicurezza. Per una soluzione di lungo periodo bisogna eliminare le radici primarie e le cause primarie di quel conflitto»), un termine che ha sempre indicato la sua volontà di demilitarizzare Kiev e riportarla nell’orbita russa. Avverte gli europei dicendo di aspettarsi che «Kiev e le capitali europee percepiranno tutto questo in un modo costruttivo e non creeranno ostacoli, non cercheranno di danneggiare i progressi emergenti attraverso provocazioni o intrighi dietro le quinte». Il tutto dura appena 12 minuti, Trump parla per appena tre; cita «progressi» nei negoziati, ma non dice quali; dice che «non c’è accordo finché l’accordo non c’è», ne parlerà agli europei e a Zelensky e torna a negare le interferenze russe nelle elezioni del 2016. E così si gira e va via, seguendo Putin, con stupore dei giornalisti americani che hanno iniziato a gridare domande: è qualcosa di assolutamente inusuale per Trump. È stato lui ad annunciare una conferenza stampa e a creare aspettative (nonostante qualche tentativo di ridurle), affermando in mattinata che sarebbe stato scontento se non ci fosse stato un cessate il fuoco e sostenendo che ci sarebbero state «gravi conseguenze» se l’incontro fosse andato male. «È inusuale, atipico… la sensazione nella stanza non è buona, Putin è entrato e lo ha sopraffatto, si è fatto una foto accanto al presidente e se n’è andato», commenta a caldo Fox News. L’unico vero regalo di Putin a Trump è confermare che «se fosse stato lui presidente» (anziché Biden) «la guerra in Ucraina non sarebbe mai iniziata». E per ora sembra bastargli: «Ti parleremo molto presto e probabilmente ti rivedremo molto presto. Grazie mille, Vladimir», conclude il presidente americano. Si riferisce probabilmente a quel secondo incontro che spera porti la pace agli ucraini e il Nobel a lui. Ma Putin replica, calcando una volta i rapporti bilaterali, «Next time in Moscow».