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 2025  agosto 06 Mercoledì calendario

Intervista a Eleonora Brown



«A vevo 11 anni e mezzo, tutto sognavo di fare fuorché l’attrice». Eppure, l’espressione terrorizzata, con gli occhi sbarrati, di Eleonora Brown nei panni di Rosetta, la ragazzina appena violentata da un manipolo di marocchini, abbracciata dalla madre Cesira impersonata da Sophia Loren nel film La ciociara, è rimasta una icona nella storia del cinema internazionale. «Ero una bambina – continua l’attrice (classe 1948) – andavo a scuola e non pensavo al cinema. Facevo una vita tranquilla. Papà, americano, lavorava per la Nato; mamma, napoletana, si occupava della famiglia. Abitavamo a Napoli, in una villa meravigliosa. Mia zia, sorella di mamma, era una fan sfegatata della Loren e aveva letto sul Mattino che Vittorio De Sica sarebbe venuto nella nostra città per scegliere la bambina in questione e sarebbe stata presente ai provini anche la protagonista del film».
Era dunque l’occasione giusta per avvicinare la grande attrice?
«Così sperava la zia e mi disse: “Andiamo in centro, ti voglio far conoscere una diva famosa e poi ti compro un bel gelato. Ma non dire niente a mamma e papà...”».
Perché?
«Non tanto papà, molto più aperto, il problema era mamma, non disponibile a questo genere di cose. Per fortuna in quei giorni i miei genitori erano fuori per vari impegni: io ben felice di seguire la zia, perché mi aveva promesso il gelato... Quando arrivammo, trovammo un mare di mamme e bambine che, in file interminabili, aspettavano di affrontare la prova con il grande regista. Mia zia si rese conto che non avremmo mai incontrato Sophia e stavamo andandocene via, quando uno degli aiuto registi mi vide e mi bloccò, facendoci passare davanti a tutti per essere portati al cospetto del deus ex machina».
Come venne accolta?
«Vedevo De Sica per la prima volta: un’emozione fortissima. Era un signore bellissimo, elegantissimo, la voce dolce e fu molto paterno. Mi fece domande semplici: come ti chiami? quanti anni hai?... Rispondevo non capendone il motivo, ero là per vedere la Loren e non per rispondere alle sue domande. Ma ero educata, accettai il colloquio».
E l’attrice?
«Non era presente! La zia restò delusa, dato che il suo obbiettivo non era certo incontrare il regista. De Sica mi chiese anche di pronunciare delle parole in napoletano, un dialetto che non conoscevo: io frequentavo la scuola americana nella base navale militare».
Quali parole?
«Per esempio, “il pane”. Pronunciai la parola con accento americano e De Sica mi corresse: si dice “o pane”. Ma per me il dialetto era zero assoluto. Dopo l’incontro, tornammo a casa: la zia avvilita, io felice per il gelato... e ci dimenticammo l’episodio. Dopo qualche giorno cominciano ad arrivare telefonate dall’ufficio di Carlo Ponti, il produttore del film nonché marito della diva. Chiedevano a mia madre se era possibile accompagnarmi a Roma per un ulteriore provino col regista. E lei, che non sapeva nulla di quanto fosse accaduto, pensava che fosse uno scherzo: rispondeva irritata e accattava il ricevitore. Finché...».
Finché?
«Finche venne a casa nostra Ponti in persona per parlare con i miei genitori e ovviamente si scoprì l’altarino di cui era colpevole mia zia».
Come si svolse il provino?
«Mi vestirono un po’ da... ciociara. Fui messa davanti a una telecamera e il regista da dietro mi diceva: fai un sorriso... adesso fai vedere che hai tanta paura perché hai visto i marocchini... Non sapevo nemmeno chi fossero i marocchini e De Sica mi spiegò: sono persone cattive, devi fare la faccia spaventata».
Il risultato positivo fu immediato?
«No, la pellicola andava sviluppata e i tempi erano lunghi. Anche Sophia partecipò alla visione dei provini e contribuì alla mia scelta definitiva. A papà e mamma fecero vedere la mia “prova d’attrice” e ne rimasero meravigliati: si trovarono davanti un’altra Eleonora. Non lessero il copione, sapevano solo che avrei interpretato la figlia della Loren».
La sua «vera» madre fu contenta?
«Assolutamente no! Mio padre invece approvò il mio coinvolgimento. Però si palesò un altro problema: dovevo restare a Roma, perché molte scene si giravano negli studi Titanus e dovevo avere un’accompagnatrice».
Proviamo a indovinare: l’accompagnatrice fu sua zia?
«Esatto! Aveva combinato questo macello e venne premiata: voleva conoscere Sophia e ha trascorso con lei, e con me, i tre mesi della lavorazione. Diventarono amiche, e cominciò l’avventura».
Il suo primo incontro con la diva?
«Ne rimasi folgorata, abbagliata dalla sua bellezza, sempre sorridente e con me dolce, tenera... nacque il mio amore per lei. Siamo tuttora amiche, sono stata anche al suo compleanno per i 90 anni».
Spiegarono, alla bambina neo-attrice, perché in quella famosa scena doveva avere un’espressione spaventata in quanto marocchinata?
«De Sica stava per spiegarmelo ma Sophia lo fermò, dicendogli: “Vittorio, Eleonora non sa niente”. Allora chiesi: “Cosa dovrei sapere e non so?”. Il regista cambiò registro e ripeté ciò che mi aveva già detto: “I marocchini in guerra sono stati molto cattivi con le donne”. Poi entrò nei dettagli: “All’inizio della scena starai buttata a terra e, quando tua madre ti aiuta a rialzarti, avverti una forte fitta nella pancia, devi tenere la mani sul basso ventre e far vedere che provi un dolore grandissimo, a malapena riesci a camminare, perché sei rimbambita dalle botte”».
Una comprensibile bugia...
«Era l’unico modo in cui potessi accettare il ruolo, non sapevo cosa fosse lo stupro. Il regista mi spiegò come avrei dovuto interpretare il personaggio senza svelarmi ciò che, nella storia rappresentata, aveva realmente subito e che nel film non si vede».
Come risolse la pronuncia troppo americana?
«Sophia mi insegnava tante cose: per esempio, a dire correttamente le parole con la “gl”, che io con l’accento americano non sapevo pronunciare. Poi mi insegnò a camminare dritta con la schiena: per la mia età ero molto alta e tendevo a incurvarmi, per non svettare sulle compagne di classe».
Non solo imparare una parte, ma molto altro...
«Grazie a De Sica e a Sophia compresi che stavo facendo una cosa importante. Durante le riprese non frequentavo la scuola, ma stavo frequentando un’altra scuola, dove ho imparato anche altre cosette...».
Cioè?
«A dire le parolacce! Io, ragazzina molto educata, le insegnai pure ai miei amichetti e imparai pure a fumare!».
Chi le insegnò a fumare?
«I figli di De Sica! Due ragazzini pure loro, Manuel e Christian: molto spesso venivano sul set. Una volta ne combinammo una davvero grossa. Stavamo girando in un paese vicino Roma e fumavamo di nascosto, qualcuno della troupe se ne accorse e nascondemmo le cicche ancora accese sotto a un covone di paglia, che andò a fuoco!».
L’epilogo dell’avventura?
«I miei genitori furono informati sul vero contenuto della scena e, quando tornai a casa, notai il loro nervosismo, non ne capivo il motivo. Poi cominciarono ad apparire gli articoli sui giornali che annunciavano il film e il questore di Napoli seppe, non so da chi, che volevano rapirmi: per diverso tempo venni accompagnata a scuola da una guardia del corpo. Avevo perso la mia libertà: non ero più Eleonora, la compagna di studi, ma l’attrice e ciò mi ha creato un po’ di problemi nel crescere».
Quando ha saputo la verità sull’espressione terrorizzata di Rosetta?
«Due anni dopo l’uscita del film una mia amica mi spiegò tutto quello che avevo interpretato senza saperlo».
Poi ha continuato a fare l’attrice.
«Sì, ho interpretato altri film, ma a 18 anni ho smesso, non mi sentivo brava abbastanza, non volevo più apparire e mi sono dedicata al doppiaggio: doppiavo sia in italiano, sia in inglese. A 23 anni ho conosciuto mio marito: non apparteneva al mio ambiente, era un banchiere e con lui ho vissuto gli anni più belli della mia vita, ma purtroppo è mancato».
Tornerebbe a fare cinema?
«Se ci fosse qualche proposta interessante, perché no? Ma ne dubito. Ora mi dedico ai gatti, li adoro proprio: sono iscritta nel registro delle gattare di Roma».