Corriere della Sera, 14 agosto 2025
Il Vaticano archivia gli affari londinesi Sciolta la cassaforte di Sloane Avenue
Era il 27 marzo 2019 quando a Londra nello studio legale Mishcon de Reya, che cura anche gli interessi della Casa Reale Britannica, veniva firmato dal più importante dicastero vaticano l’atto costitutivo della società «London 60 sa limited» che si intestava il palazzo di Sloane Avenue. È l’immobile al centro dello scandalo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato che sarebbe scoppiato da lì a pochi mesi coinvolgendo in un’inchiesta penale senza precedenti anche il cardinale Angelo Becciu, condannato in primo grado dal tribunale vaticano a 5 anni e 6 mesi di reclusione. Becciu fino al 2018, quando gli è subentrato Edgar Peña Parra, ha guidato l’ufficio Affari Generali a cui spettava la gestione della cassa della Segreteria. Ora l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa), che ha preso le redini finanziarie, ha disposto la chiusura della società simbolo di quel disastroso affare, a sua volta simbolo del surreale quinquennio (2014-2019) durante il quale buona parte dell’ingente patrimonio (600 milioni) è stata gestita come un hedge fund. Venduto nel 2022 il palazzo a Bain Capital, incassando 186 milioni di sterline a fronte di un investimento complessivo di 300 milioni, restava lo scheletro della London 60 con la sua coda di finanziarie di Jersey. La domanda di cancellazione dal registro inglese è stata presentata il mese scorso e dal 22 luglio è scattato il termine di due mesi per la dissoluzione. London 60 doveva essere la zattera societaria che portava in salvo l’investimento immobiliare dopo la rottura con il finanziare Raffaele Mincione (ottobre 2018), gestore del fondo Athena di cui Sloane era l’asset principale. E dopo l’avventuroso ingaggio del broker Gianluigi Torzi (condannato a 6 anni di reclusione) come intermediario tra Segreteria e Mincione (5 anni e 6 mesi). La società inglese è nata nei mesi della paura (dicembre 2018-maggio 2019) che ha paralizzato il vertice del Vaticano: paura che uscissero notizie su anni di investimenti speculativi (come poi è successo), paura di essersi fatti ingannare da Torzi. Tant’è che, inspiegabilmente, non venne avviata alcuna iniziativa legale e saranno poi lo Ior (a cui fu chiesto un prestito da 150 milioni per estinguere il mutuo) e il revisore vaticano a denunciare le anomalie di quell’operazione innescando l’inchiesta e di fatto chiudendo l’epoca della finanza «allegra» negli uffici più vicini al Papa. Ora sparisce anche la società.