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 2025  agosto 15 Venerdì calendario

L’ultima provocazione di Smotrich: la colonia che «spezza» la Cisgiordania

Gerusalemme. Il cemento con cui vuole «seppellire l’idea di uno Stato palestinese» è per ora una grande macchia blu sulla mappa. Bezalel Smotrich sta sotto il sole come un capo cantiere infervorato e indica il punto dove sorgerà la colonia che da oltre 20 anni viene indicata come E1. La sigla è breve, la lista di complicazioni, contese, speranze tumulate lunga: l’insediamento – che deve essere ancora approvato ufficialmente dal governo di Benjamin Netanyahu – separerebbe Gerusalemme Est dalla Cisgiordania tagliando in due i territori palestinesi.
Per queste ragioni la comunità internazionale e tutti i presidenti Usa si sono opposti alla costruzione di quelle 3.500 unità abitative. Il ministro delle Finanze, messianico e oltranzista, lascia intendere che Donald Trump avrebbe dato l’autorizzazione. Si rivolge ai Paesi che annunciano di voler riconoscere lo Stato palestinese: «Questa è la nostra risposta, con i fatti sul terreno, con le case e i nuovi quartieri». Non si è fatta attendere la protesta di Londra: «Ci opponiamo fortemente al progetto», ha detto il ministro degli Esteri David Lammy. Invece la Casa Bianca ha parlato di un sostegno alla «stabilità» nella Cisgiordania.
Era stato Ariel Sharon a congelare il piano nel 2005 sotto le pressioni di George W. Bush. E neppure il Netanyahu tornato al potere nel 2009 – ci è rimasto da allora quasi senza interruzioni – aveva osato rilanciarlo. Adesso Smotrich lo pungola, sfrutta la minaccia di far cadere la coalizione, esercita sul primo ministro un potere che non corrisponde alla sua forza elettorale: se si votasse ora, il suo partito non entrerebbe in Parlamento. Ieri lo ha incitato a «estendere la sovranità israeliana a tutta la Giudea e Samaria», come chiama con nome biblico i territori occupati.
Nell’autobiografia «Bibi – La mia storia» il capo di governo più longevo nella Storia della nazione racconta di aver convinto Trump a ritirare il sostegno americano a uno Stato palestinese con un paragone dal golf: «Impossibile come una buca in un solo colpo». E di aver ridotto la complessità geografica del conflitto mostrandogli la mappa di Manhattan. L’amico Donald al secondo mandato è meno malleabile: per ora spinge per il cessate il fuoco a Gaza – osteggiato da Netanyahu e alleati – e in caso di tregua potrebbe atterrare fra qualche settimana in Israele.
I mediatori egiziani stanno discutendo con una delegazione di Hamas e David Barnea, il capo del Mossad, è volato in Qatar per valutare se è possibile far ripartire le trattative: il primo ministro israeliano si oppone a una pausa temporanea, chiede la liberazione di tutti gli ostaggi in una volta – ne restano 50, tra loro solo 20 in vita – e ribadisce di non voler fermare la guerra fino alla «vittoria totale» su Hamas. Ha dato ordine ai generali di preparare l’offensiva sulla città di Gaza, mentre la situazione per la popolazione palestinese è sempre più catastrofica: le Nazioni Unite calcolano che in luglio 13 mila minori sono stati ricoverati per malnutrizione.