La Stampa, 14 agosto 2025
L’Europa brucia: 440 mila ettari in fumo Così il clima ci porta nell’età del fuoco
Nel mezzo di quella che si annuncia come una delle più lunghe e intense ondate di calore documentate nel continente, con temperature fino a 45 °C in Spagna e 43 °C in Francia e Albania, l’Europa meridionale brucia, tra roghi di macchia e foreste che divampano in più regioni dal Portogallo alla Grecia.Tre persone sono morte, una in Albania e due in Spagna, altri sono ricoverati in ospedale per ustioni o problemi respiratori. In Spagna l’emergenza sta toccando soprattutto Estremadura, Castiglia-Leon e Galizia, con diecimila persone evacuate dalle loro case. In Grecia uno degli incendi più preoccupanti è arrivato fino ai sobborghi di Patrasso, causando l’evacuazione di una ventina di centri abitati, ma è in difficoltà anche l’isola di Chio, dove decine di persone si sono rifugiate sulle spiagge, salvate dalla guardia costiera.Il sistema europeo di monitoraggio degli incendi, che fa capo al servizio di gestione emergenze del programma Copernicus, indica che dall’inizio dell’anno fino a ieri con 1628 focolai erano già andati in fumo circa 440 mila ettari di territorio, pari all’area della provincia di Grosseto, il doppio rispetto alla media del periodo 2006-2024, e la stagione non è affatto finita.Per almeno un’altra settimana il tempo estremamente caldo e secco resterà propizio alla propagazione delle fiamme. Da sempre gli incendi fanno parte delle naturali dinamiche delle foreste, favorendo talora la rinnovazione delle piante e l’evoluzione degli ecosistemi: ci sono specie adattate a climi secchi e propensi a sviluppare roghi, come il Pino d’Aleppo, che rilasciano i semi solo quando il calore del fuoco determina l’apertura delle pigne.Tuttavia oggi le temperature più elevate a causa del riscaldamento globale aumentano l’evapotraspirazione da suoli e piante e intensificano le siccità, come attestato di recente da uno studio pubblicato su Nature (Warming accelerates global drought severity), causando dunque un più rapido disseccamento della vegetazione e favorendo condizioni ambientali favorevoli alla la propagazione degli incendi. Così, a prescindere da chi o cosa li abbia innescati (fulmine, falò o barbecue incustoditi, mozzicone di sigaretta, piromani), i roghi diventano più ricorrenti anche in regioni e stagioni insolite, violenti e difficilmente controllabili, soprattutto in presenza di vento forte, minacciando l’integrità delle foreste e dei loro servizi ecosistemici tra cui la cattura di CO2 dall’aria, diventando fonti di emissioni serra.Ad esempio nel 2025 gli incendi europei hanno già liberato nell’aria 14 milioni di tonnellate di biossido di carbonio, quasi equivalenti alle emissioni annue di una città italiana come Roma, e che a loro volta, in un circolo vizioso, contribuiranno ad alterare il clima. Si parla ormai di “pirocene”, l’età del fuoco, termine coniato da Stephen J. Pyne, esperto di storia ambientale all’Università dell’Arizona e autore dell’omonimo saggio pubblicato in Italia da Codice Edizioni. Come dimostrano gli immensi incendi che in questi anni stanno bruciando le foreste del Canada e i cui fumi, seppur diluiti, sono arrivati a più riprese fino a noi anche quest’estate, con un viaggio di 7000 chilometri attraverso l’Atlantico, il problema è globale, e anche in Italia va affrontato – oltre che con azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici – adeguando i servizi antincendio e con politiche di prevenzione ed educazione dei cittadini. —