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 2025  agosto 14 Giovedì calendario

I 27 morti di Lampedusa e i 12 dispersi

Trabocca di bare la piccola camera mortuaria del cimitero di Lampedusa, in una nuova puntata della replica infinita della stessa tragedia. E altre ancora devono arrivare dall’obitorio che è pieno di cadaveri gonfi, pieni d’acqua, stravolti. Sono ventisette le vittime accertate del naufragio che ha riportato l’isola tra Africa ed Europa al centro del dramma delle migrazioni, ma le ricerche continueranno oggi per trovare i dispersi, che si stimano tra dodici e diciassette a seconda delle testimonianze dei superstiti, sebbene qualcuno azzardi che possano essere anche trenta.
Il barcone sovraffollato si è rovesciato a circa tredici miglia a sud ovest dalla costa. Sono morti anche tre adolescenti: due maschi e una femmina, incastrati dentro la chiglia della barca.
I vivi sono sessanta, cinquantasei uomini e quattro donne, tra cui una giovane madre che piange disperata con le braccia vuote: la figlia di un anno e mezzo potrebbe essere la neonata ripescata nel mare dove galleggiava a pancia in giù come un fagotto, la più giovane vittima. Ma potrebbe essere anche un’altra bambina ancora dispersa.
Per ricostruire bene la dinamica del naufragio bisogna mettere insieme i pezzi confusi di racconto dei sopravvissuti, trasferiti dopo lo sbarco nell’hotspot di contrada Imbriacola, che hanno fornito le prime notizie ai medici, psicologi e operatori dell’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Euaa), assistiti da mediatori culturali. Un tempo da questi cancelli si entrava e si usciva liberamente, ed era facile incontrare i migranti sui sentieri o in paese, con il sacchetto della spesa riempito dalla solidarietà degli abitanti di Lampedusa. Adesso il centro è serrato e presidiato. «Sono provati dal viaggio e da quanto accaduto, ma in condizioni di salute discrete», dice la vicedirettrice dell’hotspot Cristina Palma.
Quattro superstiti dopo lo sbarco sono stati trasferiti al poliambulatorio dell’isola, che da piccolo presidio è diventato nel tempo un centro attrezzato dei più avanzati strumenti diagnostici. Avevano un edema polmonare. In serata due di loro, quelli in condizioni più gravi, sono volati in elisoccorso all’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, gli altri hanno raggiunto i compagni all’hotspot.
È tornato così al molo Favaloro il viavai di ambulanze, il luccichio dorato delle coperte di emergenza, i riflettori degli operatori televisivi. A poche centinaia di metri dalle spiagge dove i turisti fanno registrare il tutto esaurito, attratti dal mare cristallino, quello stesso mare dove si muore.
Due barconi erano partiti martedì notte, tra le due e le quattro, con circa cento persone a bordo, dalla costa di Tripoli, in Libia, il Paese con cui il governo italiano ha firmato trattati a suon di milioni per fermare le partenze. Migranti provenienti dal Pakistan, dal Sudan e dalla Somalia, tutti Stati dove si muore per carestia o per guerre. Sfuggiti, evidentemente, alla caccia all’uomo della Guardia costiera libica che non va tanto per il sottile quando vuole dissuadere i disperati dal prendere la via del mare verso l’Europa.
Ma una delle due carrette ha cominciato a riempirsi di acqua poco dopo, così i migranti si sono trasferiti sull’altra imbarcazione, che non ha retto il peso e si è rovesciata alle prime onde, sebbene il mare fosse poco mosso.
Ieri mattina, alle undici e un quarto, un elicottero della Guardia di finanza ha avvistato il barcone che stava affondando. Sul posto sono accorse una motovedetta della guardia costiera, una delle Fiamme gialle e una nave Frontex per portare i primi soccorsi. Hanno trovato la chiglia del barchino in metallo già rovesciata e i migranti in acqua, vivi e morti. Sono stati i superstiti a raccontare che gli abissi avevano già inghiottito la prima imbarcazione.
Le ventisette vittime vanno ad aggiungersi alla conta di 675 migranti che hanno perso la vita dall’inizio dell’anno lungo la rotta del Mediterraneo centrale, un flusso in crescita, che nel 2025 ha fatto registrare 38 mila arrivi, cinque per cento in più del 2024.
Un piccolo contingente, comunque, rispetto a quei 122 milioni di persone in fuga da guerre e da crisi umanitarie, come calcola l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, cifra raddoppiata rispetto a dieci anni fa. Cifra che rischia di salire ancora, al ritmo di carestie, conflitti, siccità, persecuzioni. Ancora una volta, come sempre, su Lampedusa si riflette la crisi del mondo. —