la Repubblica, 13 agosto 2025
L’intervista Simonetta Strada
Gino è morto da persona felice», dice e quasi rassicura Simonetta Gola in Strada: storica guida della comunicazione di Emergency, oggi nel direttivo dell’ong, prima compagna e poi moglie del chirurgo che ha sognato di cambiare il mondo curando le vittime di tutte le guerre, nessuna esclusa. Sono quattro anni esatti che Gino Strada non c’è più, scomparso nel paese normanno degli impressionisti, Honfleur, nel pieno di un ultimo viaggio «che siamo riusciti a fare nonostante la sua malattia, la fatica, gli impegni», – è il ricordo di Gola – e la sua compagna degli ultimi anni di vita ammette che sì, «probabilmente oggi avrebbe difficoltà persino lui, a trovare le parole per spiegarsi quello che sta succedendo davanti ai nostri occhi».
In quattro anni è cambiato il mondo, ma quanto è cambiata la sua vita, quanto Emergency?
«Si dice Gino viva nei progetti di Emergency, nei sopravvissuti, nelle idee, ma la realtà è che non c’è più e mi è chiarissimo. La sua voce manca a tutti, anche al Paese, in una fase tanto difficile, e manca tantissimo a me anche in quella quotidianità fatta di cure e gesti che riempiono la vita di una persona che non sta bene, e di chi le sta accanto».
Qual è la cosa più grande che pensa abbia lasciato?
«Una comunità. Ha saputo mettere insieme le persone per una vita, parlando dell’essenziale. Sia fuori, dove è sempre stato capito perché parlava netto, sia in Emergency.
Dove senza di lui tutti si sono assunti la propria responsabilità per continuare un cammino».
E a lei? Qual è, l’ultimo ricordo che le ha lasciato Gino Strada?
«La felicità all’arrivo in Normandia, nel viaggio durante il quale se ne è andato. Conservo il ricordo del timore di non riuscire ad arrivarci, i dubbi sui rischi, la gioia di essere riusciti a realizzare un nostro desiderio fino all’ultimo. “Ci pensi, siamo qua”, mi ha detto, una volta arrivati su quelle spiagge. È stato lui fino alla fine».
La foto che avete scelto per ricordarlo, quattro estati fa, lo ritrae su quella spiaggia, sorridente ma affaticato dalla malattia.
«Diceva che in quella foto si sentiva sé stesso. Ha la schiena curva e il volto stanco, ma è sempre lui. Ha fatto tutto quello che ha fatto senza un accenno di eroismo, Gino, anche se il suo stesso corpo, allafine, ne pareva una rappresentazione. Ma rimaneva un uomo divertentissimo, intransigente sul lavoro ma pieno di interessi, capace di spazientirsi per la superficialità ma anche di sdrammatizzare, ridere di gusto, godersi i piaceri della vita».
Quanto tempo avete avuto, per vivere la vita di coppia al di là del vostro lavoro?
«Al di là del lavoro, io porto con me l’uomo con cui discutevamo dei figli e del futuro, che legge i suoi Tex di quando era ragazzo, i gialli e i libri sulle guerre mondiali, che cucina la pasta fresca per tutti il venerdì e i migliori risotti alla milanese per i suoi amici dei vent’anni. Amici che si portava dietro dai tempi del Movimento studentesco, quelli di Sesto, che lo conoscevano nel profondo prima che diventasse chi era».
C’era insomma un Gino Strada da missione e uno da casa?
«No, è sempre stato la stessa persona, ma profondamente consapevole dei propri obiettivi.
Che fosse ribadire certe idee in tv o andare allo stadio a San Siro, prima che certi brutti striscioni razzisti lo convincessero a continuare a seguire l’Inter, ma da lontano, o giocare a scacchi o a bridge, che faceva on line anche durante le riunioni di lavoro: sembrava non ti ascoltasse, ma era uno dei suoi modi di concentrarsi. Di bridge è stato pure campione internazionale in un torneo in Gibuti, l’ho scoperto solo dopo che è morto».
Quanto pesano, lavori tanto delicati, sulle vite private? In Emergency ha lavorato per anni anche la figlia di Gino, Cecilia, oggi europarlamentare. È sempre stata una questione di famiglia.
«Se è un modo per chiedermi dei rapporti tra loro, posso solo dire che ci sono state le difficoltà di molti padri e figli che lavorano insieme a stretto contatto. In alcuni momenti non è stato facile, ma si sono ritrovati».
Cosa pensa direbbe, oggi, Gino Strada, di quello che sta succedendo in Ucraina, in Palestina, o nel pieno della politica europea?
«È tutto talmente inaudito che immagino avrebbe denunciato la deriva di paesi che impostano le economie sulla conversione delle fabbriche in produzione di armi, e di sicuro avrebbe messo in guardia su quello che sta accadendo a Gaza, la responsabilità e l’inazione dei governi occidentali».
Un’emergenza umanitaria di cui Emergency è testimonesul campo.
«Siamo in due cliniche, a Khan Younis e al-Mawasi. I nostri medici cercano parole nuove per cose che non riescono più a descrivere. La fame, la violazione del diritto.
Abbiamo presentato 5 richieste al governo perché faccia pressione su quello israeliano, ma i governi vanno in direzione opposta a quello che pensa l’opinione pubblica. A Gaza la limitazione del ruolo delle organizzazioni umanitarie rischia di diventare un modello per il futuro. A distribuire gli aiuti è una fondazione sotto il controllo di chi sta facendo la guerra, si preferisce non avere testimoni, e non solo lì.
Eppure Gino pensava di poterle abolire davvero, le guerre, come si è fatto lottando contro la segregazione razziale o la schiavitù. Portiamo avanti il suo sogno noi».