la Repubblica, 13 agosto 2025
Un giro a Regina Coeli
Nell’agosto in cui ministro Nordio e governo alzano il tono sulle carceri, dicono calmi, nessun allarme, siamo nella media, metti piede a Regina Coeli, superi il quinto varco metallico e, lungo il tetro corridoio, li trovi tutti. Gli spettri, gli uomini trattati da bestie: 1102 persone dietro le sbarre, ragazzi e vecchi, stranieri e romani, incensurati finiti lì per stalking o sospettati di mafia, e comunque quasi il 50 per cento di nordafricani, in un istituto in cui i posti effettivi sono meno della metà, 513. E con un solo agente di polizia penitenziaria per oltre 90 detenuti, a volte anche più di 150, dipende dai turni, e dalle malattie.
Entri e il buongiorno te lo dà la distesa di sacchi di immondizia, aspettano lì da ore. Un po’ di luce dal fondo, è un aborto di cortile, rettangolo di quattordici metri quadrati con l’asfalto rovente: sarebbe lo spazio dell’ora d’aria, su cui un ragazzo maghrebino, Hashir, lui da solo, sta facendo ossessivamente dieci, venti o forse trenta giri al minuto. Fa segno a gesti che la terra brucia e alla fine schizza dentro, stremato. Qualche recluso ride. Altri immobili, uno ciondola. Da qualche buco arriva un vento che è tanfo, urine, cacca, a terra cicche, sporcizia. Ma qui a piano terra sono fortunati. Sono celle di 9 metri quadri e sono in 3 su un unico letto a castello: ai piani di sopra, nello stesso spazio, ci stanno anche in sei. E senza un vero wc, solo pochi hanno quello in alluminio, gli altri un foro in terra e il lavandino attaccato. E gridano perché non hanno un tavolo, e ogni tanto gettano escrementi dalla finestra tra dileggio e “che schifo” urlato dagli altri. Questa è Regina Coeli, nell’estate italiana del “siamo nella media”, qui il sovraffollamento è a +200 per cento, con le brande che hanno occupato la barberia, la sala socialità, tutto, ogni spazio. Con i suicidi a quota 48 in Italia e i morti di prigione totali arrivati a 148 fino al 31 luglio scorso.
È la famigerata Settima Sezione, la peggiore. È l’Alcatraz che tutti conoscono, che tutto schiaccia in un tempo primitivo senza diritto né legge – non solo carcerati, ma direttori, comandanti, agenti penitenziari, tutti diversamente vittime – quella dove ieri sono arrivati Roberto Giachetti, deputato di Iv che si batte per la liberazione speciale anticipata, insieme con Rita Bernardini, alla centesima missione di Nessuno Tocchi Caino e all’ennesimo sciopero della fame, e con Renata Polverini.
Tre ore. Non dimenticabili persino per chi, dei penitenziari del Paese, tocca di continuo la non-dignità. E lo sfaldamento dell’articolo 27 della Costituzione. «Quello che abbiamo visto a Regina Coeli supera qualunque peggiore immaginazione. Un quadro in cui i maiali nelle porcilaie, grazie alla normativa europea, vivono meglio dei detenuti nel carcere», rileva Giachetti. Che presenterà una denuncia «molto dettagliata alla Procura di Roma. E sia chiaro: la colpa non è di quel direttore o di quel comandante o degli agenti, ma di un sistema che si vuole perpetuare così. Anche per furore ideologico, anche se riconosco la buona volontàdi La Russa».
Tre docce per 60-70 detenuti. Ma la domenica zero. «In che senso?», chiede Giachetti. Oscar si fa sotto, tatuato:«Avete capito, la domenicapossiamo puzzare». Risate.
Ecco, più avanti, «la cella dei gay». In tre. Loro li chiameremo Federico, John e Sami, vivono chiusi 23 ore su 24, in un “forno”. «Ci fanno uscire alle 8 per la doccia – racconta “Fede” – rientriamo e stiamo qui fino alla mattina dopo. Dicono: meglio per voi. Come omosessuali corriamo rischi». Salvo, sui 50, è di Procida: reato associato ai clan, tumore alla prostata e nessuna certezza di cura. Cesare spunta in parte dalla cella, fa impressione, sembra un fachiro: ha sviluppato l’abilità di premere le orecchie e far passare il capo nell’unico spazio tra le sbarre, lì dove passa “il rancio”. Ma è al piano di sopra che l’umanità è (ancora) più calpestata. Qui sono in 6 negli stessi 9 metri: gli egiziani Ziaid e Kabra hanno 19 e 24 anni, l’algerino Roman ne ha 40, Abdul di 24, Ami di 50 e Sidique di 33. I letti lasciano 160 centimetri per passare. Tre parole sanno dire, quelle che servono: «Questo-no-umano». Ma «lo stato più inaccettabile, brado – dice il deputato renziano – è quello che ho visto nella cella 23: da mostrare a tutta l’Europa». In tre, Aboubakar, Buba e Pistamos, tra i 20 e i 30 anni, non hanno un wc, ma un foro: il muro pieno di sputi, fanno pipì in terra da giorni, cacca, uno si protegge con un lenzuolo sudicio, «sale un fetore che opprime il respiro», sottolinea il deputato di Iv. Resistere? Per ubriacarsi con nulla, racconta Jose, si fa macerare la frutta per giorni nei secchi, ne esce una specie di alcol: ne hanno sequestrati 26, recipienti marci. Ma fossero quelle le “sostanze” da stoppare. Corrono i traffici potenti. Due: droga e telefonini. Ci sono gli schiavi e ci sono i padroni. Come fuori, peggio.
«Sentire Nordio, governo, e tristemente anche il Garante nazionale dei detenuti, dire che la situazione sia sotto controllo fa orrore. È fuori controllo la situazione, sono fuori controllo il ministro e questa maggioranza», dice Giachetti. La vicedirettrice Antonell a Rasola saluta, torna in ufficio. Tornano ai loro posti anche il dirigente della penitenziaria Fernando Stazzone, che da facente funzioni prova a sopperire a buchi, mancanze, e il vicecomandante Emanuele Ripa. Padre Vittorio Trani, il francescano, è sempre dentro coi fantasmi. «Zurka, perché a piedi nudi?», domanda. Gli hanno rubato vestiti e scarpe. Lui segna: gambiano Z., pantofole. Se ne va con tanti appunti, Giachetti: «Qualcuno dovrà rispondere di quello che sta accadendo». E di quello che non si sta facendo per evitare che accada.