la Repubblica, 10 agosto 2025
La sede dell’incontro Trump-Putin in Alaska
Abbondano i simbolismi, nella località scelta per il summit del 15 agosto fra Donald Trump e Vladimir Putin, il primo fra i leader delle due superpotenze militari della terra dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il loro primo incontro dal 2019 e la prima visita del capo del Cremlino negli Stati Uniti da un decennio.
In un tempo non lontano, l’Alaska apparteneva alla Russia, gli zar la vendettero all’America centosessanta anni fa per una modestissima somma: apparente allusione al fatto che un territorio può passare tranquillamente da un Paese all’altro. Brutto segno per Kiev? Ma pochi anni dopo la cessione agli Usa, in Alaska gli americani scoprirono miniere d’oro e successivamente il loro più grande giacimento di petrolio: un dejà vu delle “terre rare” ucraine di cui Washington si è impossessata e che ora non vorrà certo cedere. Un monito geopolitico per Mosca? Come se non bastasse, nell’Ottocento a Washington alcuni consideravano l’acquisto di quella gelida regione “un capriccio”, “una follia”: la Casa Bianca, tuttavia, lo approvò come possibile “primo passo verso l’annessione del Canada”, su cui all’epoca aveva già messo gli occhi. Il passaggio del Canada da un Paese all’altro allora non si fece, ma Trump, guarda caso, oggi vorrebbe realizzarlo. Corsi e ricorsi della storia: entrambi i presidenti possono leggere nel luogo del vertice qualche lezione del passato per la sfida globale del presente.
Si presta a una doppia lettura anche la disponibilità di Putin a incontrare Trump negli Stati Uniti, anziché in campo neutro, come pareva più logico (da cui l’offerta di Giorgia Meloni, secondo indiscrezioni, di ospitare il summit a Roma, rifiutata a quanto pare perché l’Italia non era considerata abbastanza neutrale dopo le parole del presidente Mattarella). Da un lato, può sembrare una concessione alla controparte americana (“ma la prossima volta Trump verrà a Mosca, lo abbiamo già invitato”, dicono i portavoce del Cremlino). Dall’altro, può sembrare una legittimazione, il ritorno di Putin sulla scena, per di più a casa del leader supremo dell’Occidente, dopo il mandato d’arresto emesso nei suoi confronti dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia (tribunale che d’altronde gli Stati Uniti non riconoscono) per i crimini di guerra commessi dalle truppe russe in Ucraina.
Di certo c’è che l’Alaska ha una geografia e una storia molto particolari. Situata all’estremità nordoccidentale del continente americano, è un’exclave degli StatiUniti, separata da qualsiasi altro stato degli Usa: confina a est con il Canada, a ovest con lo stretto di Bering, a nord è bagnata dal Mar Glaciale Artico e a sud dal Pacifico. Con 1 milione e 717 mila chilometri quadrati (sei volte l’Italia) è il più grande fra i cinquanta stati degli Usa, ma ha una popolazione di appena 731 mila abitanti, quasi metà dei quali vivono ad Anchorage, sua città principale. La posizione remota e il clima artico ne hanno ritardato la colonizzazione: fino al diciottesimo secolo era popolata soltanto da comunità indigene di Inuit e Aleutini, (“eschimesi” le chiamavano sbrigativamente gli europei), discendenti dei primi Homo Sapiens entrati 40 mila anni prima nel continente americano da quello asiatico attraverso il mare ghiacciato dello stretto di Bering, largo meno di 100 chilometri. La Russia fu la prima a insediarvisi, a partire dal 1784, con chiese ortodosse e stazioni per il commercio di pellicce. Ma meno di cent’anni dopo lo zar Alessandro II non sapeva che farsene di quella regione troppo lontana: sicché, anche per rifarsi dei debitidella guerra di Crimea, nel 1867 accettò la proposta americana, vendendola per 7 milioni di dollari, equivalente a 120 milioni odierni. Un pessimo affare: poco dopo cominciò la “corsa all’oro” nel vicino Klondike canadese, migliaia di cercatori passavano dall’Alaska per raggiungerlo (tra i quali il futuro scrittore Jack London, che dall’esperienza ricavò i suoi due romanzi più famosi, “Il richiamo della foresta” e “Zanna bianca”), poi l’oro fu trovato nella stessa Alaska e più tardi anche l’oro nero, il petrolio. Adesso la pesca, il turismo e le riserve di combustibili fossili ne fanno uno stato ricco, di importanza cruciale e di enorme valore strategico, mettendola sulle rotte per lo sfruttamento del Polo Nord: al summit non si parlerà soltanto di guerra e pace, ma anche di interessi economici e geopolitici. Gli zar rimpiansero a lungo di averla ceduta. Putin, invece, una decina d’anni fa affermò: «Che ce ne facciamo? Siamo già un Paese del Grande Nord. In Alaska fa perfino troppo freddo». Chiaramente, tra le due, preferisce l’Ucraina.