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 2025  agosto 08 Venerdì calendario

L’autunno difficile tra politica e giustizia

È ormai chiaro che il tema politico dell’autunno-inverno sarà l’ennesimo conflitto tra il centrodestra di governo e una parte non secondaria della magistratura. Come mille volte in passato, ma stavolta con maggiore enfasi. Perché siamo arrivati al nocciolo di un tema che investe il rapporto di potere fra due protagonisti da anni del dibattito pubblico: con ruoli e responsabilità diversi, ma tant’è. In tal senso, è persino positivo che il caso Almasri sia esploso. Dopo anni di reciproche accuse, usate come una clave, e di invasioni di campo più o meno vere o verosimili, ora si potranno forse fissare nuovi confini. La stabilità del sistema ne ha urgente bisogno.
Stavolta però non è una scaramuccia, bensì una vera battaglia. La riforma Nordio, quale che sia il giudizio che se ne può dare, è destinata a ridefinire gli equilibri della magistratura: con i due Csm derivanti dalla separazione delle carriere e il riordino delle correnti, nulla sarà più come prima. E il successivo referendum confermativo della legge costituzionale sarà un passaggio cruciale per le sorti della cosiddetta Seconda Repubblica. Per l’esecutivo di Giorgia Meloni si tratta di un percorso in salita appena cominciato. Gli sviluppi del caso Almasri richiedono di essere affrontati con un misto di determinazione e di nervi saldi. Gridare ai “complotti” delle toghe serve solo a intorbidire le acque. Così come adombrare tentazioni eversive della destra, senza precisare fatti e circostanze, significa uscire di strada. Si capisce che il presidente della Repubblica sia sulle spine.
Senza dubbio, all’inizio la torbida vicenda Almasri era stata sottovalutata: il cinismo della realpolitik avrebbe imposto subito il segreto di Stato, accettando lo strascico delle inevitabili polemiche. Invece si è preferito adombrare il punto centrale della sicurezza nazionale, ma senza trarne tutte le conseguenze. Si pensava che fosse più utile provare a minimizzare, segno che forse qualcuno, in qualche ministero, aveva qualcosa da farsi perdonare, magari una o più leggerezze. Nel frattempo la miccia si è consumata e ora siamo al Tribunale dei ministri, il cui esito è scontato, ma soprattutto all’ipotesi – secondo molti più di un’ipotesi – che nell’inchiesta sia coinvolta la più stretta collaboratrice del Guardasigilli, la sua capo di gabinetto. Ieri su questo giornale Lorenzo De Cicco ha riassunto i termini della questione, citando il caso dell’ex sindaco di Roma, Alemanno. Detto che la vicenda attuale è in parte diversa, i costituzionalisti, sia pure senza negare la complessità della matassa, tendono ad ammettere che lo “scudo” protettivo a tutela dei ministri si estende ai loro collaboratori “connessi” al caso di cui si discute.
Così Ceccanti, Azzariti, Celotto e altri in varie interviste.
Questo non significa che il problema si stia avviando a un esito non conflittuale. Tutt’altro. Il livello dello scontro politico deve ancora essere esplorato. Finora siamo rimasti, diciamo così, nel campo giuridico.
L’opposizione ha colto un motivo non secondario per tenere sotto tiro il governo: vedi Matteo Renzi che in queste circostanze, pur avendo subito negli anni non poche inchieste giudiziarie, è svelto a scagliare il dardo contro il quartiere generale. E in termini politici, non si può dargli torto. Ma la premier, per quanto in difficoltà, ha il temperamento per trarsi d’impaccio. È da capire chi saprà muoversi con senso della misura. Intanto a palazzo Chigi ha ottenuto che l’intero governo resti compatto. Per cui Nordio ripete alla lettera l’ordine superiore: «Mi assumo la piena responsabilità politica, nessun collaboratore si è mosso in autonomia». E il costituzionalista Celotto, che pure considera giustificato ricorrere allo “scudo” ai vari livelli, dichiara alFoglio che «in ogni caso la democrazia impone obblighi di trasparenza e legalità.
Siamo tutti soggetti alla legge».