la Repubblica, 7 agosto 2025
Il piano per spostare un milione di persone dall’ultima città simbolo, Gaza City
Sopravvissuti ad assedi, sfollamenti e fame, accampati in quel che resta di Gaza City, un milione di palestinesi rischiano di essere nuovamente espulsi dalla città. Nella migliore delle ipotesi: perché il rischio è che molti non ne escano mai. Giornali e analisti vicini al governo israeliano confermano che il piano Netanyahu per l’occupazione graduale e totale della Striscia potrebbe partire proprio dal luogo simbolo di Gaza, nel nord, per poi allargarsi ai campi del centro.
Quello a cui si lavora è un piano in due fasi. Nella prima, i militari darebbero l’ordine di evacuazione da Gaza City, dove è in sediata ancora metà della popolazione. Si tratta diun’operazione che potrebbe richiedere alcune settimane, il tempo necessario a far partire la fase due, ovvero la creazione di “campi umanitari” per gli sfollati, che ospiterebbero ospedali e tendopoli. Non è chiaro tuttavia in quali zone della Striscia sia realizzabile un simile progetto visto che le poche ancora non rase al suolo scoppiano di essere umani senza più nulla. L’area di al Mawasi che l’esercito israeliano definisce “umanitaria” ha da tempo superato il limite di accoglienza.
Gli Stati Uniti hanno detto a Netanyahu di essere contrari all’annessione di Gaza, ma gli hanno dato mano libera su tutte le operazioni militari che riterrà opportune e si occuperanno delle operazioni necessarie ad aumentare il numero dei centri di distribuzione degli aiuti gestiti dalla Ghf, portandoli da 4 a 12 e poi a 16. L’ambasciatore statunitense in Israele, Mike Huckabee, ha spiegato aBloomberg che sarebbe possibile quadruplicare i siti in un paio di mesi, è «tutta una questione di finanziamenti». A pagare saranno gli Stati Uniti e altri paesi, che non ha specificato, con un finanziamento da 1 miliardo di dollari.
A quel punto l’esercito israeliano lancerebbe una seconda offensiva militare contro i campi nel centro della Striscia, per spostare la popolazione ancora più a sud, e facilitare la famigerata “migrazione volontaria” a cui anelano i ministri dell’ultradestra messianica Smotrich e Ben Gvir. Vuol dire che le truppe israeliane entrerebbero anche in zone finora non occupate, come Deir el Balah, dove l’intelligence stima che siano tenuti alcuni ostaggi, con conseguenze inimmaginabili per la popolazione civile. Deir El Balah è l’ultima città ancora in parte in piedi, dove ci sono i desalinizzatori e gli uffici delle agenzie umanitarie.
La nuova guerra contro Gaza potrebbe durare tra i quattro e i cinque mesi, e coinvolgere dalle quattro alle cinque divisioni dell’Idf. Ogni divisione ha tra i 13mila e i 20mila soldati: anche facendo una stima conservativa si tratterebbe comunque di almeno 60mila militari impegnati in una guerra che rischia di diventare un «Vietnam per l’esercito israeliano», come ha detto un alto funzionario della sicurezza a Channel 12.
Lo stesso capo di stato dell’idf, Zamir, avrebbe messo in guardia dal rischio che occupare la Striscia trascini i militari «in un buco nero», con decine di perdite tra i soldati e metta a rischio la vita degli ostaggi. Lo dice l’esperienza di guerra di questi due anni. L’esercito israeliano occupò l’area intorno all’ospedale al Shifa a novembre del 2023, ma dovette tornarci a marzo del 2024 con un assedio durato 14 giorni che comportò diverse perdite tra i soldati israeliani, ma soprattutto centinaia di morti tra i palestinesi.
Preoccupato dal rischio di un pantano militare, in cui i soldati vengono attirati in continue imboscate dai miliziani di Hamas, il capo dell’Idf aveva proposto una strategia che prevedeva assedi limitati e in diverse fasi a quel 25% di Gaza che non è ancora sotto il controllo israeliano. In entrambi i casi per i palestinesi significa la distruzione del poco che resta di Gaza e altre vittime civili.
Ieri il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, ha attaccato duramente il silenzio dei paesi occidentali: «La tragedia di Gaza è una macchia sulla coscienza della comunità internazionale».