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 2025  agosto 07 Giovedì calendario

Storia del Ponte sulle Stretto

L’infrastruttura che tutti avrebbero voluto realizzare, presente in ogni agenda politica. E al centro di molte parodie
Ilibri di storia raccontano che il primo a parlarne fu Ferdinando II di Borbone, detto “Re Bomba” perché – per capirci subito – pensò sì al Ponte, ma poi per reprimere i moti del 1848 diede l’ordine di cannoneggiare Messina. E, in fondo, in quella contraddizione iniziale c’è tutta la lunga vicenda dell’opera più declamata di tutti i tempi, dal Regno delle due Sicilie al Cipess. Si farà? Forse sì. Ma quanta letteratura si è già consumata, attorno a progetti (la leggenda parla di 150 chili solo di carte preliminari), società concessionarie dalle mille vite e soldi, tanti soldi. Quanti? Prima della ripartenza dell’iter con il governo Meloni, nel 2023, almeno 350 milioni di euro erano già andati via per realizzare quella che sinora è l’unica traccia esistente del maestoso abbraccio fra Scilla e Cariddi: la variante di Cannitello, sponda calabra, infrastruttura di collegamento verso il nulla. Adesso il ministro Salvini può giurare “emozionato” che si parte. Spingendosi un po’ più in là della promessa di decine di governanti di ogni parte politica.
È del 1870 il progetto di Carlo Pavone, un tunnel sottomarino che sarebbe dovuto costare 10 milioni di allora. Un “miracolo” che restò un sogno, frustrato dal catastrofico sisma messinese del 1908 che invitò tutti, per qualche anno, a essere piùprudenti. Ma quando la corsa alla grande opera riprese, nel Dopoguerra, il Ponte entrò di prepotenza nell’agenda dei governi democristiani, che accarezzarono progetti autoctoni ed esotici (la settimana Incom dedicò una pagina all’iniziativa avveniristica dell’americano David B. Steinmann sotto il titolo “forse la Sicilia non sarà più un’isola”) e promossero un concorso internazionale di idee che nel 1969 vide l’assegnazione di sei premi ex aequo da 15 milioni di lire, fra gallerie e passerelle sospese a sei campate. Nel ’71 il governo Colombo fece la prima legge che autorizzava la creazione di una concessionaria per il Ponte, otto anni dopo l’esecutivo Cossiga ne approvò la costituzione. Poi arrivò Bettino Craxi: era l’inverno del 1985 quando il presidente del Consiglio socialista, nella sala delle Repubbliche marinare di Palazzo Chigi, siglò in forma solenne la convenzione per la realizzazione dell’opera, davanti a numerosi ministri e alla nomenclatura siciliana. «Entro il 1994 sarà ultimata», annunciò il segretario del Psi. La società “Ponte sullo Stretto”, nel frattempo, con i suoi 56 dipendenti di cui 11 dirigenti, aveva cominciato a produrre costi, soprattutto in consulenze. Il record nel 2005, con incarichi per 5,7 milioni che hanno prodotto studi sull’“impatto emotivo del Ponte sulle popolazioni locali” e sull’“investigazione radar delle specie di uccelli migratori notturni”.
Erano gli anni dell’epopea di Silvio Berlusconi, che è stato uno dei grandi sponsor del collegamento stabile. A modo suo: «Costruiremo il Ponte, così – disse – se uno ha un grande amore dall’altra parte delloStretto, potrà andarci anche alle quattro di notte, senza aspettare i traghetti...». Il “pronti, via” fu urlato dal Cavaliere nel 2001: l’infrastruttura finì in cima alle opere della legge- obiettivo. «Il Ponte sarà pronto nel 2012 e il pedaggio costerà 21 mila lire», profetizzò il ministro Pietro Lunardi. Poi, nel 2008, toccò ancora a Berlusconi recuperare il piano che nel frattempo era stata affossato da Prodi. E sotto il terzo governo retto dal leader forzista, il 30 luglio 2011, arrivò anche il progetto definitivo, che ispira l’attuale e prevedeva allora una spesa da 8,5 miliardi di euro, per la realizzazione di una campata unica da 3,3 chilometri contro i due dell’Akashi Bridge in Giappone. Ricaduta occupazionale? In quel piano si accennava a 40 mila assunzioni, cifra che oggi è salita a 120 mila. La realtà supera l’ottimismo berlusconiano, che pure ai tempi ispirò memorabili scene cinematografiche. Come il dialogo del film “Boris” in cui una coppia in crisi vede “nel Ponte che crea sinergie” la soluzione per il proprio futuro.
Tutto bloccato, però, dall’intervento del governo Monti che nel 2012, in piena crisi economica, sospese l’intero iter di costruzione del Ponte, stanziando 300 milioni di euro per le penali. Dal 2013 una liquidazione affidata all’avvocato Vincenzo Fortunato, già capo di gabinetto del ministro Tremonti nel secondo governo Berlusconi.
Ma mica si fermò lì, la vicenda dell’opera dei sogni, rilanciata negli anni successivi anche da Matteo Renzi come da Giuseppe Conte, che nel giugno del 2020 annunciò l’intenzione di valutare “senza pregiudizi” il Ponte sullo Stretto, negli anni divenuto argomento da azzardo elettorale e scommesse da showman: Fiorello si è detto pronto a percorrerlo nudo, il Ponte, qualora si facesse davvero.
Fino al rilancio del governo Meloni, nella primavera di due anni fa, con la ricostituzione della società “Stretto di Messina” e il riavvio della progettazione esecutiva, sotto la spinta di un Matteo Salvini divenuto mentore di una Lega nazionale che cerca voti al Sud. E capace di raccogliere l’incitamento di Checco Zalone che nel 2009, in “Cado dalle nubi”, canta: «È stanca ormai a gente, sono anni ca ciù raccunti, u facimu stu cazzu i punti?». Un motivo in dialetto calabrese intonato davanti a una platea di camicie verdi inorridite: a rivederla oggi, quella gag, fa sorridere. I tornanti storici della grande incompiuta.