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 2025  agosto 06 Mercoledì calendario

Il generale contro Netayahu. Con il no all’occupazione ogni errore ricadrà sul governo

Il capo dell’esercito alla fine si allineerà alle decisioni politiche ma Bibi non potrà scaricare su altri la morte di soldati e prigionieri
È uno scontro tecnico, tra le valutazioni di chi è responsabile della vita dei soldati e chi invece persegue disegni politici, ma è soprattutto una sfida istituzionale che riguarda la natura più intima dello Stato ebraico, perché l’esercito è lo specchio della sua società e quindi deve tenere conto di tutte le contraddizioni che le stragi del 7 ottobre e l’invasione di Gaza hanno messo in luce al suo interno, senza lasciarsi condizionare dai desideri del leader del momento. Un braccio di ferro in cui il generale Eyal Zamir ha un grande punto di forza: è stato voluto al vertice delle Israeli Defense Forces nello scorso marzo proprio da Benjamin Netanyahu.
A gennaio le dimissioni del suo predecessore Herzi Halevi nel mezzo del conflitto avevano già trasmesso un messaggio implicito al Paese: a Gaza con le armi non si possono ottenere altri risultati. Scegliendo questo carrista dalla corporatura imponente, già uscito dal servizio attivo e bocciato nella carriera dagli esecutivi liberali, il premier forse sperava di sfruttarne l’ambizione per mettere l’esercito totalmente al servizio dei suoi piani: si è sbagliato.
Lo si è capito sin dal discorso di inaugurazione, in cui il generale aveva riconosciuto che Hamas non era stata affatto sconfitta e che lalunga guerra su più fronti poteva mettere in crisi le forze armate. La prima sfida aperta è arrivata durante il summit che a maggio ha deciso l’ultima offensiva contro Gaza, chiamata “Carri di Gedeone": Zamir ha preteso che venissero garantiti rifornimenti di cibo e medicine alla popolazione. Lo ha chiesto per motivi umanitari, legali e soprattutto militari: si tratta dell’elemento chiave per estirpare il potere residuo di Hamas, basato sul controllo degli aiuti. Gli esponenti dei partiti religiosi come Itamar Ben-Gvir lo hanno contestato. Alla fine il governo ha accolto la sua richiesta, introducendo però un meccanismo di distribuzione farneticante che ha ridotto alla fame la Striscia.
I tre mesi di battaglia successiva hanno fatto giungere Zamir a conclusioni nette, esposte durante una riunione dello Stato maggiore: «Si può essere flessibili e gli sforzi vanno fatti per raggiungere un accordo». La distruzione totale di Hamas invocata da Netanyahu era solo uno slogan, che poteva venire concretizzato solo con anni di combattimenti e risorse, soprattutto umane, di gran lunga superiori a quelle di cui la pur poderosa armata israeliana dispone.
Secondo la sua analisi, la presenza a Gaza oggi fa solo il gioco del movimento jihadista e mette a rischio i soldati, oltre ad aumentareil logoramento delle truppe. Il comandante ha quindi presentato al governo due strade. Quella che riteneva migliore, più concreta e meno mediatica, era continuare ad accerchiare i capisaldi di Hamas e portare avanti una guerra di attrito, puntando al rilascio degli ostaggi attraverso il negoziato. L’altra era l’occupazione totale della Striscia, mandando i tank pure nelle aree urbane finora risparmiate per non mettere in pericolo i prigionieri israeliani: una manovra a cui loStato maggiore è contrar io, ma che il premier e i ministri religiosi reclamano a gran voce, arrivando come ha fatto lo stesso Netanyahu a minacciare di cacciare il generale.
Nessuno dubita che Zamir obbedirà agli ordini. Ma la sua manifesta opposizione obbliga il governo ad assumersi l’intera responsabilità: non potrà scaricare su altri la colpa per la morte degli ostaggi e dei soldati. Anche per questo il ministro della Difesa Israel Katz, ritenuto il principale sponsor della nomina del generale, ieri ha proposto una linea di mediazione. Ha ribadito gli obiettivi di cancellare Hamas e riportare a casa i prigionieri, precisando che «allo stesso tempo, dobbiamo tutelare la sicurezza delle nostre comunità mantenendo una presenza militare permanente in una fascia periferica nei punti strategici di Gaza, dalla quale si possano prevenire attacchi ai civili e il contrabbando di armi». Un compromesso, che limiterebbe l’occupazione a una serie di zone cuscinetto.
In attesa della decisione governativa, da una settimana il comandante ha sfruttato le sue prerogative per sostanzialmente chiudere l’operazione “Carri di Gedeone”, prendendo atto del fallimento. Ha trasferito la 98ma divisione, quella con le truppe scelte, e ridotto le incursioni nella Striscia. Non solo. Ha riformato il reclutamento in modo da accorciare la mobilitazione dei riservisti per dare enfasi all’opera dei reparti speciali e delle unità con i giovani di leva. Una scelta non priva di rilievo politico perché ripropone il tema degli ebrei ortodossi che rifiutano di indossare l’uniforme, sostenuti dai partiti religiosi. Le fratture nella società israeliana amplificate da Netanyahu che, appunto, si specchiano nella tenuta delle forze armate.