la Repubblica, 2 agosto 2025
La dinastia dei De Luca e le condizioni al Pd per il sì al candidato Fico
A due passi da Santa Brigida, la cameriera dai capelli rosa ha deciso che bisogna prendere gli gnocchetti alla Nerano. Il riso venere? Poco cotto. I panini? Meglio di no. Napoli è così: si impone. Antonio Misiani, commissario del Pd in Campania, venuto a mettere ordine dopo le accuse di irregolarità nel tesseramento, è accusato ora – insieme a Elly Schlein – di essersi fatto imporre da Vincenzo De Luca un patto indigeribile: il via libera a Roberto Fico come candidato presidente, per saldare l’intesa tra 5 stelle e Pd, in cambio di Piero De Luca (il figlio dell’attuale governatore) a capo della segreteria regionale. E poi una lista gestita da De Luca padre, “A testa alta”, qualcuno dice anche la scelta di due assessori. Insomma, troppo.Misiani beve il caffè: viene dalla Lombardia, ma si è innamorato di Napoli e dei suoi esperimenti sociali: «Come tutti i posti dove le difficoltà sono enormi, qui si aguzza l’ingegno e si trovano le soluzioni più innovative e coraggiose». La conosce, la ama, fasu e giù da Roma tutte le settimane. Dice chiaro – senza confermare nulla del patto – che in Campania «si gioca la sfida più importante delle prossime Regionali, decisiva per le successive politiche. È il banco di prova decisivo per la coalizione progressista». E poi, Napoli non è tutta la Campania, «ce ne sono diverse. Il capoluogo rappresenta quella più progressista, in altre parti c’è un tessuto sociopolitico più moderato e conservatore. In Irpinia, è rimasto l’imprinting demitiano. A Benevento, c’è ancora Mastella. Salerno è Deluchistan».Tradotto: se De Luca ha effettivamente perso molti consensi a Napoli, non si può non tener conto del resto della Campania, che alle ultime primarie del Pd ha scelto la sua area e quella di Bonaccini. De Luca avrebbe chiesto prima l’ingresso del figlio in segreteria nazionale. Ricevuto un no, l’accordo sarebbe stato fatto per il partito regionale. Apriti cielo.Sul lungomare di Napoli, proprio di fronte a Castel dell’Ovo, sono ormeggiate alcune navi da crociera che viste da vicino sembrano grattacieli. A via dei Mille, i vigili fanno le multe e gli automobilisti protestano. Piazza Trento e Trieste è presidiata dadue poliziotti immobili e vigili, così come tutti i luoghi turistici della città.La prima cosa fatta da Gaetano Manfredi, sindaco da quattro anni, è stata riattivare il sistema di telecamere e ampliarlo: ne arriveranno presto altre trecento. Ma il sistema De Luca e il sistema Manfredi non collaborano, non si parlano. Detta diversamente: si fanno la guerra. E una delle ragioni più forti dell’ostilità di De Luca nei confronti dell’ascesa di Fico a candidato, oltre al fatto che è il suo esatto contrario, è il legame strettissimo dell’ex presidente della Camera con il sindaco di Napoli. Hanno lavorato insieme dai tempi del patto per la città, quando Fico era a Montecitorio e Manfredi era ministro. È chiaro che non saranno i deluchiani a contare, in un’eventuale giunta guidata dal 5 stelle.Fulvio Bonavitacola è il numero due di De Luca in Regione e il suo braccio destro da sempre. Ci tiene a fare la lista di tutte le cose fatte in dieci anni: «Il primo orgoglio è stato restituire reputazione e autorevolezza a una regione per troppi anni solo associata a emergenze, inefficienze e disastri». Parla dei trasporti, degli investimenti in sanità, del rinnovo dei parchi mezzi nei trasporti,dei progetti per l’edilizia scolastica, dell’autonomia idrica che «sta per essere raggiunta». Quanto al commissariamento del partito campano, dice: «È stata una ritorsione politica in risposta all’esito delle primarie. Il pretesto sono state presunte irregolarità del tesseramento in provincia di Caserta, ma in questi casi da statuto si nomina un commissario ad acta, si risolve e si va avanti. Qui invece si è dato vita a un sequestro politico, che risponde solo a logiche di potere interno».L’accusa è pesante. Gli attacchi di De Luca al suo stesso partito, quotidiani. «E il Pd che fa? – chiede Isaia Sales, intellettuale tornato a votare i democratici dopo la rivoluzione Schlein – non solo non gli chiede di scusarsi per gli insulti, ma gli garantisce un potere enorme? Proprio ora che lo ha perso, dopo il no al terzo mandato e il suo calo vertiginoso di consensi, consegnano a De Luca le chiavi del partito attraverso il figlio consentendogli di controllare con le liste che faranno almeno otto consiglieri regionali? Per cosa, la realpolitik?». Sales ha preparato un documento già sottoscritto da Paolo Mancuso, ex magistrato ed ex presidente del pd napoletano, l’economista Giulio Sapelli, lo scrittore Andrej Longo: un mondo vicino ai democratici che chiede loro di ripensarci, rendere trasparenti gli accordi, non sottostare a quelli che considerano ricatti.Spiega Sales: «A Caserta il presidente del consiglio regionale alleato di De Luca pagava le tessere a persone che neanche lo sapevano. Schlein è intervenuta per riportare dignità nel partito, con quale faccia si può adesso riconsegnarlo – di fatto – a De Luca? Lo stanno sopravvalutando sul piano elettorale, se sfidasse Fico con uno dei suoi non supererebbe il 10 per cento, se avesse potuto fare danni li avrebbe già fatti. Non ha armi in mano, e loro gliele consegnano. Fin dal 1861, dai tempi di Cavour, quando si guarda alle cose meridionali dal di fuori si dice: questa realtà è una schifezza, quindi alleiamoci con i peggiori. Lo trovo un atteggiamento insopportabile».Roberto Fico si siede sui gradini Francesco D’Andrea dopo aver attraversato il quartiere in cui da ragazzino arrivava con l’autobus ogni mattina: il 140, da Posillipo a Chiaia, da casa al liceo classico Orazio. Parla con entusiasmo della nuova stazione della metropolitana, di ogni chiesa e di ogni teatro: il Sannazzaro, dove recitavano Enzo Cannavale e Luisa Conte; il Metropolitan, ora convertito in cinema. Poi di Palazzo Cellammare, di Piazza dei martiri, della città a cui è sempre tornato anche durante i dieci anni trascorsi in Parlamento. Sa di essere il più probabile candidato del centrosinistra, è al corrente delle faide che si combattono dietro questa scelta, ma ha la prudenza e il pragmatismo di sempre: quelli che gli hanno consentito di sopravvivere nel Movimento 5 stelle anche senza ruoli istituzionali, in attesa che i pianeti si allineassero e arrivasse il momento di tornare in campo.«Sono concentrato sui temi, sulle cose da fare», dice in perfetto stile M5S. Ha la consapevolezza di quanto sarà dura, ma anche la determinazione di chi ha saputo attendere.Qualcuno lo riconosce e lo saluta. La campagna elettorale l’ha cominciata da parecchio, ma per gli annunci ufficiali ci sarà tempo: prima dovrà consumarsi l’ultima guerra dentro il Pd, e qualcuno dovrà per forza uscirnesconfitto.