La Stampa, 2 agosto 2025
Intervista a Davide Oldani
Davide Oldani da bambino voleva fare il calciatore. E per un po’ c’è riuscito: ha giocato in C2, a 16 anni era un centravanti professionista. Poi la vita cambia. Per un infortunio. «Ma soprattutto perché volevo fare cose artigianali, con le mie mani. Ho assimilato la tecnica dai miei maestri, Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse. E l’ho sviluppata. Fare il cuoco sembra un gioco solitario, ma poi diventa di squadra». Lo chef di D’O, due stelle Michelin e una verde a Cornaredo (Milano), di Olmo, una stella, e Next D’OOr, laboratorio dei lievitati, il 6 e il 13 agosto sarà protagonista di due cene d’autore nell’elegante hotel Europa Palace di Sanremo. Un viaggio gastronomico dalla sua Lombardia alla Liguria all’insegna della cucina pop, must dello chef.
Oldani va in Riviera, qual è l’occasione?
«Il progetto si chiama Milano-Sanremo-Milano per dare un tocco di sport. Mi piace scoprire la Liguria, la frequentavo tanti anni fa quando ero da Ducasse. Mi piacciono molto il clima, la materia prima dal pesce alle verdure, dalla frutta alle erbe e tutti i profumi che la riviera offre. Sarò già sulla costa: mia figlia Maria Camilla, 11 anni, gioca a tennis al Piatti Center di Bordighera. Ama lo sport e si fa influenzare poco da social e telefono».
E lei, ama i social?
«Sono solo una parte che si aggiunge a ciò che già faccio, ma l’unica cosa che conta è cucinare bene».
Che estate sta vivendo?
«Provo a essere sempre curioso, a fare cose nuove e frequentare persone diverse. A Sanremo farò una tappa fra lavoro e vacanza, poi una puntata a Montecarlo da Ducasse per assaggiare i suoi ultimi piatti e qualche giorno di riposo a Forte dei Marmi a fine agosto».
Le sue vacanze sono sempre legate al lavoro?
«Sì ma per me il lavoro è passione, due aspetti che condivido con Evelina (Rolandi, la moglie che cura la comunicazione dello chef, ndr)».
Com’è lavorare con il partner?
«Ci si deve capire molto di più rispetto alla famiglia e alla casa, non è facile ma è bello. Un’occasione da sfruttare per stare insieme».
Chi è il capo?
«Io! (ride, ndr). In realtà ognuno di noi ha il proprio settore: Evelina sovrintende la comunicazione, io mi occupo del resto».
E com’è lavorare con Davide Oldani?
«Molto facile perché ascolto le persone e poi le lascio decidere».
Guerre, crisi, dazi, è un periodo difficile. Segue l’attualità?
«Leggo, mi informo, è importante. E lo è anche provare a vivere bene. Interiorizzare ciò che sta accadendo è necessario, serve a riflettere e a fare del bene».
A Gaza il cibo è diventata un’arma, Petrini e Mattarella l’hanno definito un atto disumano.
«Il cibo è la stabilità dell’uomo. È la chiave della vita insieme al movimento. E tutto il mondo deve lavorare per far sì che la gente possa nutrirsi. Ora c’è Gaza, ma c’è una parte del mondo, l’Africa, dove, non solo nell’ultimo anno, ci sono persone che muoiono di fame. Bisogna limitare gli sprechi: chi ha più cibo deve metterlo a disposizione di chi non ne ha».
Questo è un principio cristiano, lei crede?
«Sono cristiano, anche se frequento poco la chiesa. Ma ho tre cari amici parroci che vivono a stretto contatto di persone bisognose con cui mi confronto. È importante per la mia crescita».
Com’è il suo rapporto con la politica?
«Votare è necessario per essere liberi. Per il resto ho le mie idee e vado avanti cercando di metterle in pratica».
Condivisione ed educazione nel lavoro, qual è il fil rouge?
«Condivisone vuol dire rispetto, l’educazione è la premessa. Negli anni scorsi l’abbiamo dimenticato, oggi ci manca e lo stiamo riscoprendo. La relazione umana è fondamentale e va alimentata ascoltandosi, guardandosi negli occhi. I social non devono coprire i rapporti diretti».
Tennis o calcio? Sinner o Inter?
«Potrei dire Sinter! L’Inter è una malattia familiare, trasmessa da mio padre, Sinner rappresenta la pulizia, il bello, il giovane, il sacrificio, la conoscenza e la cultura».
Se fosse un ingrediente?
«La carota! Funziona su tutti i terreni: Sinner l’ha dimostrato a Wimbledon, è bravo su cemento, erba, terra. E la carota è un ingrediente che va bene con tutto, dal salato al dolce».
Come sarà la cucina nel futuro?
«Dovrà essere fatta di prodotti di qualità e dovremo mangiare di meno. È il fine dining a tracciare la giusta via dal punto di vista culturale: l’alta ristorazione va oltre l’esperienza, è la cucina dove le cose sono pensate per fare del bene. E col tempo arriverà a essere per tanti. Ci sono molti giovani bravi, che lavorano con prodotti di qualità a prezzi accessibili: una cucina pop, del territorio, fatta di tecnica, ma col cuore».
Oggi nei ristoranti si è più attenti agli orari di lavoro. Le cose stanno cambiando nella gestione del personale?
«Era giusto che si iniziasse a cambiare il sistema ristorazione. Io ho fatto mille sacrifici in questi 35 anni e rifarei tutto, ma oggi c’è un modo diverso di approcciarsi al lavoro. Una volta fare il cuoco era una missione, oggi è passione ed è giusto così».
Lei è stimato anche per il suo look molto curato. L’estetica conta?
«Se mi ammirano per il look mi può far piacere. Ma ci tengo ad essere riconosciuto per il mio lavoro e come persona».
La moda però è una passione di famiglia.
«Trattarsi bene è importante. Un noto detto recita: ‘l’abito non fa il monaco’. Dalì diceva: molte volte sì. Io sono d’accordo con lui».
Chi è più geloso, lei o Evelina?
«Evelina. Ma se due persone si amano, è normale che ci sia gelosia».
In un’intervista ha detto che sua moglie è la parte dolce e lei quell’amara, che intendeva?
«Funziona un po’ come nella cucina dei contrasti e negli abbinamenti: caldo-freddo, duro-morbido, dolce-salato… è lì che si creano equilibrio ed armonia».
Che cosa s’aspetta dal prossimo anno?
«Salute per la mia famiglia. E proseguire nel realizzare i nostri desideri, non i sogni: stare bene, costruire la squadra, curare il benessere dei miei ragazzi e la qualità di ciò che serviamo a tavola».
Che cosa cucinerà a Sanremo?
«Nel piatto avremo borragine, melone, eucalipto, ma anche coniglio alla ligure in un menu misto dove prevarrà la parte vegetale». —