La Stampa, 2 agosto 2025
Le confessioni di Camillo Ruini
«Nel nuovo disordine mondiale il diritto della forza sembra ormai prevalere sulla forza del diritto. L’orrore in Palestina ha superato ogni limite ma credo che il peggio sia passato: Israele dovrà desistere per le pressioni della Casa Bianca», analizza con la proverbiale acutezza monsignor Camillo Ruini, il “cardinal sottile” plenipotenziario per l’Italia di Karol Wojtyla come presidente della Cei e vicario di Roma, grande elettore di Benedetto XVI, punto di riferimento per l’episcopato conservatore mondiale e protagonista tre mesi fa al pre-conclave quando ha presentato al sacro collegio «quattro condizioni irrinunciabili per il buongoverno della Chiesa». Un’esortazione ai quali gli elettori hanno prestato attenzione: «il nuovo successore di Pietro confermi nella fede l’intero popolo cristiano con uno stile di governo che elimini ogni inutile durezza, piccineria e aridità di cuore; dimostri capacità di rispondere in chiave cristiana alle sfide intellettuali di oggi con la certezza della verità e la sicurezza della dottrina; il suo ricorso al diritto sia il più possibile conforme alla legge dell’amore; superi le minacce all’unità e alla comunione nella consapevolezza che la Chiesa, come ogni corpo sociale, ha le sue regole, che nessuno può impunemente ignorare».
Eminenza, l’identikit del Papa che auspicava corrisponde al profilo di Leone XIV?
«In alcuni aspetti sicuramente sì, soprattutto nella sollecitudine a ricucire gli strappi e a ripristinare l’unità della Chiesa rimettendo ordine al suo interno e riorientandola ai valori. Siamo all’inizio del pontificato, quindi si vedrà l’evoluzione ma è certamente importante che l’impostazione emerga nitida fin dai suoi primi atti di governo e decisioni di fondo. Sono personalmente molto contento dell’elezione di Robert Francis Prevost».
Serviva un “ricucitore” dopo Francesco?
«Sì, senza dubbio. Il lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II è stato monumentale: ha trovato un mondo diviso in due dal Muro di Berlino e lo ha lasciato in piena globalizzazione. Aveva una personalità straordinaria, persino debordante, una leadership naturale sempre forte sotto ogni punto di vista. Dopo di lui è salito al Soglio Joseph Ratzinger, un Papa di brillante intelligenza, di profonda dottrina ma con una scarsa attitudine a governare. Quei problemi non sono stati risolti da Francesco, anzi ne sono emersi altri, non meno gravi».
25 anni fa come oggi:a Tor Vergata i ragazzi del mondo alla Gmg giubilare con il Papa
«Ne conservo un ricordo luminoso, un’ondata travolgente di entusiasmo e di partecipazione da parte di una generazione che qualcuno descriveva apatica e disimpegnata. Nessuno si aspettava che si sfiorassero i due milioni di partecipanti. Senza esagerazioni si può dire che fu davvero un segnale epocale. Mi rividi in loro. Il mio primo Anno Santo fu quello del 1950, ero arrivato a Roma da Reggio Emilia per studiare e il segretario del Giubileo era il futuro cardinale e mio concittadino Sergio Pignedoli. Mi conosceva e mi chiamava a prendere parte agli eventi giubilari in programma. Un’emozione forte».
Se lo sarebbe immaginato allora che poi lo avrebbe organizzato lei un Anno Santo?
«Nel 2000 fu un’esperienza di incredibile intensità e fu determinante il sostegno operativo di don Mauro Parmeggiani, oggi vescovo di Tivoli e Palestrina. La Gmg è un’invenzione di Karol Wojtyla che aveva un rapporto speciale con quei giovani che poi gli rimasero vicini fino al suo ultimo giorno di vita vegliando e pregando sotto le sue finestre. Era una gioventù molto motivata che ha continuato a trovare in lui la stella polare nella vita spirituale. Sulla spianata di Tor Vergata sono sbocciati amori, famiglie, vocazioni, legami per tutta la vita».
Già allora la Gmg pregava per la pace in Terra Santa. Un quarto di secolo dopo la situazione è persino peggiorata. Come è possibile ?
«Quanto sta accadendo a Gaza eccede ogni possibilità di umana comprensione, quindi è legittimo allarmarsi per l’impossibilità di intravedere una concreta via di uscita però credo che il peggio sia passato e che la corrente internazionale converga verso lo stop alle atrocità. Un moto collettivo che, includendo il riconoscimento della Palestina, spinge a convincere gli Usa e a costringere Israele a trovare una qualche forma di accordo. Leone XIV ha dato razionalmente voce a un’istanza etica globale:non si può pensare a rimuovere con la forza un popolo dalla propria terra né a una punizione collettiva. La guerra è sempre la sconfitta di tutti. Soprattutto laddove era impensabile».
A quale conflitto si riferisce in particolare ?
«Per chi viene dalla ricostruzione post-bellica era inimmaginabile ritrovarsi con un conflitto devastante in Europa. Non mi aspettavo l’invasione russa dell’Ucraina, ma già di fronte all’escalation da propaganda sovietica di Vladimir Putin avevo cominciato a preoccuparmi. Leone XIV ha offerto il Vaticano come terreno di dialogo affinché i nemici possano guardarsi negli occhi, ma da Mosca il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha subito obiettato che la Santa Sede non è il luogo adatto alla mediazione tra due nazioni ortodosse. Spero di sbagliarmi – e in geopolitica tutto è sempre possibile – ma ritengo improbabile che Putin accetti di negoziare a Roma. Non ha interesse a farlo. La sua incrollabile intenzione è arrivare alla distruzione dell’Ucraina. Non è questione di trattare in Vaticano o a Istanbul. Si piegherà a un’intesa soltanto qualora veda dall’altra parte, cioè dalla Nato, una determinazione ferrea che gli faccia capire che non può vincere. Se l’Occidente non è coeso, il Cremlino proseguirà».
Nella politica italiana lei ha avuto come interlocutori leader di ogni estrazione. Con chi ha avuto il rapporto più stretto?
«Con alcuni le relazioni sono state particolarmente intense e frequenti. In particolare a Silvio Berlusconi mi univa un’amicizia».
Che effetto le fa sentir parlare di una discesa in campo di suo figlio Pier Silvio?
«Non la vedo come prospettiva. Come leader politico Silvio Berlusconi aveva sicuramente delle doti di carisma. Ma si tratta di talenti personali nella vita pubblica che difficilmente passano da padre a figlio. E poi in Italia noi abbiamo Giorgia Meloni che è davvero molto brava e che ha saputo circondarsi di collaboratori di riconosciuto valore come il sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano, giurista cattolico di indubbio spessore che ha dimostrato capacità e senso di responsabilità anche alla guida della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre. Figura di garanzia».
Il bipolarismo si è stabilizzato in Italia?
«Ci sono stati vari passaggi. Prima per quarant’anni il voto era consolidato. Il grosso votava Dc o Pci, il resto Psi e partiti laici. Poi c’è stata una fase in cui i voti hanno cominciato a spostarsi rapidamente con leadership che passavano in poco tempo dal 3 al 30% o viceversa. Adesso siamo entrati in un’epoca differente e, più o meno, c’è un certa stabilità con un partito come Fratelli d’Italia che può contare all’incirca sul volume di consensi che aveva Forza Italia nel periodo più favorevole. Gli schieramenti destra-sinistra rimarranno questi sulla traccia di quanto avviene in Europa. Il fatto che la premier Meloni richiami nella sua azione di governo le radici cristiane costituisce un fattore estremamente positivo per l’Italia e per il cattolicesimo politico. Finite la Dc e l’unità politica dei cattolici si può impegnarsi in qualunque partito e testimoniare la propria identità cristiana. L’albero si riconosce dai frutti e adesso lo si vedrà sulla difesa dei valori».
Sta parlando della legge sul fine vita?
«Sono passati vent’anni dal referendum popolare sull’abrogazione dei paletti di civiltà posti dalla legge 40 sulla fecondazione assistita e la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Non si raggiunse il quorum. Oggi si torna a negare la sacralità della vita dal concepimento al suo termine naturale. Bisogna vedere a quale legge sul fine vita si punta ad arrivare. Temo molto che se si farà una legge sarà purtroppo una cattiva legge perché vedo un’aggressività e una voglia di legittimare di fatto l’eutanasia. Sopprimere un’esistenza non potrà mai essere eticamente accettabile. Il quadro in cui si svolge la discussione non è né buono né rassicurante. Come si fa a dire che il suicidio assistito vada bene? Soffia un vento contrario alla vita che arriva dal Nord Europa, soprattutto dal Belgio un tempo cattolico e dai Paesi Bassi. C’è la minaccia concreta che in Italia non si riesca ad esprimere politicamente la difesa dei valori non negoziabili che rischiano di scomparire uno dopo l’altro: prima il divorzio e l’aborto, ora il fine vita. Per questo serve il ritorno della Chiesa dei valori. I segnali non mancano».
Quali per esempio?
«Nella pur laica Francia tra i giovani c’è una netta ripresa della fede e gli iscritti alle scuole cattoliche sono quasi il triplo dei nostri. Certo restano tanti punti deboli in Europa ma anche in Italia qualcosa si sta muovendo. Si parla poco per esempio della parità scolastica ma stiamo imparando ad essere minoranza creativa come diceva Benedetto XVI, ad essere presenza cristiana attiva in una società sempre più secolarizzata. L’esempio della Chiesa conta».
Crede che la soluzione sia mettere al centro il Sinodo come ha fatto papa Francesco?
«Lo spirito sinodale significa camminare insieme. Certamente l’unità è un grande valore per la Chiesa, poi ch l’unità passi proprio dallo spirito sinodale o più semplicemente dalla comunione conta poco. L’importante è che ci sia l’unità. Sono stato sempre leale e rispettoso con ogni papa, sono rimasto in silenzio anche quando non ero d’accordo con lo sfilacciamento che rilevavo nel corso del pontificato di Francesco. Non ho mai criticato apertamente. Non è nel mio stile però dentro di me ero preoccupato per il bene che voglio alla Chiesa. Stalin chiedeva quante divisioni ha il Papa. Il Papa non muove eserciti ma ha un’autorità morale planetaria. Bisogna vedere con quali tempi e con quale efficacia ma confido che qualcosa per la pace saremo in grado di fare. I giovani di Tor Vergatata ci spingono». —